venerdì 28 settembre 2012

Rock 'n' Roll Jiah

Jiah White si svegliò con un gran mal di testa. Come se gli avessero ballato il tip tap sulle tempie. Si tastò la faccia nel buio e sentì una fitta alla mascella, poi si toccò il costato, e le ossa incrinate gli fecero digrignare i denti dal dolore. Dietro la testa pelata, il taglio profondo che quel bestione gli aveva procurato con il calcio della pistola, pulsava ancora; gli sembrò come se una lametta continuasse a scavarci dentro. Si alzò a fatica e stese le braccia in avanti. Non fece più di tre passi che le mani toccarono un parete di cemento. Brancolò nel buio seguendo tutto il perimetro interno, a cercare qualche spiraglio e per farsi un idea sulle dimensioni della stanza. Trovò solo una porta d'acciaio e quell'ambiente gli sembrò grande quanto una vasca da bagno. Nessuna finestra o feritoia. Neanche la tana di un topo. Urlò, colpì la porta con pugni e spallate, finché non esaurì le forze e si sedette per terra, sfinito. Dopo ore di buio la porta si spalancò, la luce invase la stanza, Jiah strizzò gli occhi e quando li riaprì intravide una sagoma che ha fatica passava dalla porta: lo scagnozzo di Murano. Entrò con una sedia di legno e una lampada a pile, le appoggiò per terra, gli sputò in faccia, gli diede un ceffone pesante come una mattone e se ne andò. Poco dopo entrò Murano, che si sedette e gli tirò addosso un paio di occhiali: «Metti quei cazzo di occhiali, Jiah. Non vedresti a un passo dal tuo uccello senza quelli, e io voglio che mi guardi in faccia mentre ti spiego come morirai.»
Jiah indossò gli occhiali: Murano era grosso come un bue e aveva delle mani grandi come padelle. La testa aveva le dimensioni di una palla da basket e un collo che abbracciarlo sarebbe stato difficile. Indossava camicia, pantaloni bianchi e un paio di bretelle nere. Si arrotolò le maniche fin sopra gli avambracci nerboruti, prese un mozzicone di sigaro dal taschino e lo accese, fece un paio di boccate e gli soffiò il fumo in faccia:
«Sai perché sono vestito di bianco?» disse Murano.
Jiah non disse niente.
«Perché voglio tingerlo di rosso col sangue di quel figlio di puttana che mi ha scopato e poi ucciso la moglie. Cioè tu. Ma non ti voglio ammazzare subito, sarà un' agonia lunga e dolorosa, puoi metterci la mano sul fuoco. Prima di iniziare, però, voglio che mi spieghi per bene come sono andate le cose.»
«Io e Luane ci amavamo» disse Jiah a bassa voce. Murano rigirò il sigaro tra i denti, poi fece un altro tiro e sbuffò come una ciminiera:
«Cosa, scusa? Non ho sentito» disse.
«Io e Luane ci amavamo» disse Jiah, stavolta a voce alta.
Murano allungò un braccio e avvolse la gola di Jiah con la mano. E strinse.
«Come osi chiamare per nome mia moglie?» Jiah afferrò il polso di Murano con tutte e due le mani, ma gli sembrò come tentare di spostare un tronco d'albero. La mancanza di ossigeno creò le prime stelle. Come ultimo tentativo gli afferrò le dita in modo da tirarle e fargli mollare un po' la presa, ma rimasero ben salde alla gola, come zecche all'orecchio di un cane. L'ambiente divenne un'immagine distorta e ovattata. - Finalmente posso svenire in pace – pensò. Invece Murano allentò la presa, L'altra mano si spostò sulla nuca e avvicinò la testa di Jiah quel tanto che bastava per premergli il sigaro sulla fronte. Jiah sentì come se qualcuno gli avesse ficcato una lancia rovente nel cranio e rinsavì all'istante. Diede qualche colpo di tosse intervallato a conati di vomito, poi scosse la testa come per rimettere il cervello sballottato al suo posto.
«Che cazzo ti credevi, che ti avrei lasciato schiacciare un pisolino? Vai avanti» disse Murano. Jiah appoggiò per un secondo la mano sulla fronte. Quando la abbassò si guardò il palmo e vide un segno circolare, un misto di sangue e cenere, che aveva il colore di un frutto andato a male. Bruciava da morire. Si pulì la mano sulla canottiera e disse:
«Io e...»
«La signora Murano, pezzo di merda» disse Murano.
«Io e la signora Murano, andavamo a letto insieme, è vero. Ma non l'ho ammazzata io» disse Jiah.
«Sai cosa mi ha raccontato il bestione qua fuori invece?» disse Murano «Che ti ha trovato a casa mia, che avevi le mani sporche di sangue, e che Luane era stesa a terra davanti a te, con le mutandine abbassate, morta strangolata. Vuoi dirgli tu che mi ha mentito? Hey, Tonka, vieni. Jiah ti deve dire una cosa.»
Prima, senza gli occhiali e infastidito dalla luce, Jiah non aveva ben chiara la figura di Tonka. Vide solo una grossa massa indistinta. Quando Tonka entrò, si rese conto del perché quello schiaffo lo stava per mettere k.o. Era il doppio di Murano, aveva una rete autostradale di vene che gli avvolgevano le braccia, e il petto era simile al muso di un blindato.
«Avanti, dì a Tonka che mi ha raccontato un mare di stronzate» disse Murano.
«Non ho detto questo. Il suo scagnozzo mi ha trovato, è vero, ma le ripeto che non ho ammazzato io sua moglie» disse Jiah.
Murano diresse il suo sguardo verso Tonka e disse: «E tu cosa ne dici?»
«Dico che l'ha fatta fuori lui, capo. E che si è anche divertito a farlo. Ha strangolato sua moglie con le corde di una chitarra, e lui suona la chitarra»
Murano tenne lo sguardo fisso su Jiah: «E tu suoni la chitarra. Sentito?» 
«Sì, e qualcuno lo sapeva, e conosceva gli orari in cui andavo a casa di Lu... sua moglie, e mi ha inculato alla grande. Sono entrato che era già morta, e qualche minuto dopo è arrivato lui» disse Jiah indicando Tonka.
«Non lo hai visto mentre lo faceva?» chiese Murano a Tonka.
«No.»
Murano si voltò di nuovo verso Jiah e disse:
«Se confessi avrai una morte veloce»
«Non sono stato io» rispose Jiah.
«Lo immaginavo. Quindi mi toccherà cavarmela da solo. Non preoccuparti, ho un metodo tutto personale per sapere la verità. Per te ho studiato qualcosa di speciale. Sai, io non sono come tutti gli altri mafiosi. Soprattutto nel torturare. Sono sempre stato un tipo eccentrico in questo, e me ne vanto. E visto che ti piace così tanto la chitarra, ho una bella sorpresa per te. Tonka, chiama Angelo e digli di portare la roba.»
Tonka uscì dalla stanza e Murano rimase in silenzio, fissando Jiah negli occhi.
«Non c'entro nulla con quelle corde di chitarra» disse Jiah.
«Vedremo» rispose Murano «Hey, quarto di sega, muovi quelle chiappette» urlò poi.
Un nano entrò di fretta. Aveva un bandana blu in testa e una barbetta rossiccia ben curata. Le sopracciglia erano talmente folte e nere che sembravano disegnate col carboncino. La sua espressione era quella di chi avrebbe preferito avere la testa infilata nel culo di un cavallo piuttosto che trovarsi lì, in quel momento. Portò a fatica una chitarra (una Les Paul nuova di pacca) e un piccolo amplificatore. Li appoggiò vicino a Jiah, uscì e tornò con un secchio un pacco di carta igienica. Jiah aveva la faccia di un bambino davanti a un' equazione di fisica quantistica. Murano si fece una risata per tutto il tragitto del nano:
«Cazzo, i nani mi ammazzano. Non li trovi fantastici?» disse. Il suo viso si ricompose e tornò quello di un pitbull che ha appena ricevuto un calcio nelle palle. «Ma veniamo a noi. Oh, ecco il bagno a cinque stelle che avevo ordinato per te.» Il nano fece per andarsene, ma Murano lo bloccò:
«Dove vai, Gongolo? Resta qui.»
Il nano sbuffò e si mise vicino a Murano, che gli appoggiò la mano sulla testa, come un polpo su uno scoglio:
«Questo è Angelo. Il mio nano. Sarà quello che ti accudirà nelle prossime ore. Ti reggerà l'uccello se dovrai pisciare, e ti pulirà il culo dopo che avrai cagato. Tutto in quel secchio. Ti darà anche da mangiare e da bere. Sarà come una cazzo di badante»
Angelo fece una faccia disgustata, così come Jiah. Anche se Angelo aveva da recriminare qualcosa in più, visto che a lui era toccato il servizio di pulizia.
«Tu intanto dovrai fare solo una cosa. Suonare, e senza mai fermarti. Tonka si siederà vicino alla porta, di fronte a te, e se smetterai solo per un secondo, saranno cazzi. Cazzi che hai già provato.»
Jiah non capì cosa volesse dire, suonava la chitarra da anni, le sue mani erano allenate e i calli che si erano formati sulle dita erano duri come il cuoio. Che razza di tortura era? Sorrise senza accorgersene. Murano lo vide, ma non si scompose. Tirò fuori un biglietto dalla tasca dei pantaloni e lo aprì.
«Sono andato su internet, e ho fatto qualche ricerca: il Guinness dei primati di resistenza suonando una chitarra è di un irlandese. David Browne. Ha suonato per centoquattordici ore, sei minuti e trenta secondi. Tzé! Un fottuto irlandese. Ci sanno fare con la musica, la birra e i pugni, quelli. Ora, a me non frega un cazzo se batterai questo record, ricordati comunque che lui, quando non ce la faceva più, ha potuto fermarsi. Tu invece sarai obbligato ad andare avanti, anche se per suonare dovessero rimanerti solo le ossa delle dita, nude e crude. E ricordati che avrai anche un altro nemico in agguato: il sonno. Cerca di non cedere, o Tonka ti risveglierà a suon di pugni. Questo è quanto. Tornerò tra un po' per vedere se avrai qualcosa da dire. Buona suonata, amico. E tu, nano, fai quello che devi fare o tua moglie e tua figlia guarderanno le radici delle margherite da sottoterra»
«Sei un bastardo» disse Angelo.
«Eccome» disse Murano.
Tonka portò un'altra sedia e si mise dove aveva detto Murano. Jiah si era seduto per terra a gambe incrociate e aveva collegato la chitarra all'amplificatore. Murano se ne andò. Angelo si mise vicino a lui, e parlò sottovoce: «Vacci tranquillo, amico. Se sei bravo, non stare a fare magheggi con la chitarra. Suona roba lenta» Jiah annuì e il consiglio di Angelo gli fece venire un'idea. Con la mano sinistra non fece nulla: nessun accordo e nessuna scala, non posò nemmeno un dito. Con la destra, invece, appoggiò il plettro su una corda e la toccò appena, come a voler accarezzare una mosca. Lo fece tre o quattro volte. Lentamente. Note lunghe come il lamento di una balena. Tonka lo guardò come se gli avesse rubato il pranzo, e tirò una sberla al muro che produsse un rumore simile allo sparo di un fucile: «Il capo ha detto che devi suonare. Invece, quello che stai facendo, è prendermi per il culo. Suona!»
«Almeno ci hai provato» disse Angelo a Jiah.
Jiah si sistemo gli occhiali sul naso col dito indice e stavolta cominciò a suonare sul serio. Non si discostò di molto dall'idea di Angelo. Creò melodie d'atmosfera , calde come il tè in una giornata d'inverno, e andò avanti per ore. A un certo punto sentì il bisogno di pisciare, e ad Angelo toccò reggerglielo e scrollarglielo, e tutto mentre Jiah continuava a strimpellare. Tonka si gustò la scena e scoppiò a ridere: «Non vedo l'ora che ti scappi una bella cagata, Jiah» disse con le lacrime agli occhi.
Non passò molto tempo, prima che Jiah cominciasse a sentire i tendini bruciare come fili elettrici scoperti, i muscoli si irrigidirsi, e i polpastrelli che sembravano appoggiati sulla punta di un coltello. Disse ad Angelo che aveva fame e sete. Angelo riferì a Tonka, che fece una telefonata. La tortura continuò, poi si sentì il motore di un'auto. Angelo aprì la porta d'acciaio, e un tipo con la faccia smorta e il capello impomatato gli consegnò un sacchetto. Guardò dentro: un paio di sandwich con pollo, uova, formaggio e una bottiglietta d'acqua. Si avvicinò a Jiah e cominciò a imboccarlo. Approfittò del momento per parlargli:
«Come andiamo, amico?» disse.
«Sto per cedere. Non ne ho ancora per molto» disse Jiah.
«Ascolta, quel cazzo di gelataio ha rapito la mia famiglia e la tiene in ostaggio in un granaio a qualche chilometro da qui. E sai perché lo ha fatto? Per il semplice che voleva avere un “nano domestico”. Quello è uno dei più grandi figli di puttana che abbia mai conosciuto. Gli piace far soffrire gli altri, umiliarli. E tu, non pensare di cavartela con qualche ora di chitarra. Morirai, e lo sai. Ho una proposta: io aiuto te a salvarti il culo e tu mi aiuti a salvare la mia famiglia.»
Jiah, annuì. Angelo gli diede l'ultimo boccone di sandwich e una sorsata d'acqua.
«Un'ultima cosa, sei stato tu?» disse Angelo.
«No, non sono stato io. Qualche suo nemico deve avere fatto fuori Luane per far ricadere la colpa su di me. Mi hanno incastrato per bene.» Poi si guardò le dita: mentre suonava, la pelle morta dei calli era stata segata via dalle corde, fatta eccezione per qualche piccolo brandello, e la pelle nuova bruciava come se avesse scottato le dita su una piastra incandescente.
«Cerca di resistere, appena ne avremo l'occasione proveremo a fare fuori il bestione. Un solo tentativo. Se fallisce, siamo morti» disse Angelo.
Jiah riprese a suonare, ma in realtà non faceva altro che grattare il plettro sulle corde mute. Aveva perso la forza nelle dita e nelle braccia, e le gambe si addormentavano a turno, con quel fastidioso formicolio simile a scariche elettrostatiche sottopelle.
«Angelo, c'è una cosa che dovrei fare» disse.
«Devi pisciare?»
Jiah scosse la testa e disse: «Mi dispiace, ho resistito fin'ora, ma non ce la faccio più»
«Io il culo non te lo pulisco, bello» disse Angelo.
«Non ce ne sarà bisogno. Mi è venuta un'idea. Ti chiedo solo di reggermi la schiena mentre la faccio nel secchio. Al mio segnale buttati contro Tonka e fai di tutto per fargli male.»
«Non capisco cos'hai in mente, ma va bene.»
Jiah, che ormai sparava qualche nota qua e là tanto per fare, si alzò. Angelo gli slacciò i pantaloni e gli abbassò le mutande.
Tonka rise: «Inizia lo spettacolo, signore e signori!»
«Angelo, mutande e pantaloni, toglimeli del tutto» disse Jiah.
«Hey, hey. Cos'è questa storia?» disse Tonka.
«Non voglio correre il rischio di cadere e di imbrattarmi, tutto qui.» disse Jiah.
Tonka ci pensò un attimo:
«Ok, forza, mezzuomo, fai quello che devi fare»
Angelo annuì e gli sfilò pantaloni e mutande, poi prese il secchio e glielo mise tra le gambe. Jiah si posizionò come su una turca, Angelo si mise dietro di lui e appoggiò entrambe le mani sulla schiena per non farlo sbilanciare.
Tonka era in lacrime: «Oh, cazzo, sì! Questa mi farà passare una bella giornata»
Jiah fece roba liquida che sembrava cioccolata. Tutti quei sandwich gli avevano fatto un brutto effetto allo stomaco. Angelo ebbe conati di vomito per tutta la durata del servizio. Tonka era piegato in due: «Hey, nano, vuoi una cannuccia?»
«Figlio di puttana» disse Angelo.
«Spingimi, Angelo. Più forte che puoi» disse Jiah.
Angelo inarcò la schiena all'indietro e poi spinse con tutta la forza. Jiah si ritrovò in piedi, lasciò cadere la chitarra, prese il secchio e lo gettò in testa a Tonka prima che riuscisse ad alzarsi, e tutta la merda e il piscio gli riempirono la faccia e gli colarono giù dal collo, fino alle spalle. Jiah si abbassò, staccò il jack e raccolse la chitarra brandendola dalla parte del manico, e colpì il secchio talmente forte da romperla in due. Il manico gli rimase in mano, mentre il corpo lo raccolse Angelo. Tonka cadde per terra svenuto.
«Colpisci, Angelo, colpisci» urlò Jiah.
I due si avventarono su Tonka e cominciarono a devastarlo di colpi. Angelo, con il corpo della Les Paul messo di taglio, colpì il secchio ripetutamente. Mentre Jiah, col manico, lo trafisse dappertutto. Finché Tonka non si mosse più. Rimase sdraiato a terra in un bagno di merda e sangue.
«Esci fuori e guarda se arriva Murano» disse Jiah.
«Perché? Cosa devi fare? Meglio scappare, no? Dobbiamo salvare mia moglie e mia figlia»
«Sono con l'uccello di fuori e il culo sporco. Fammi dare una pulita veloce e fammi controllare il bestione. Magari ha qualcosa che potrebbe esserci utile»
«Ok, ma fai in fretta. Cazzo, che odore. Credo che abbia fatto la morte più brutta della storia.»
«Già, ma se l'è meritata tutta»
«Concordo in pieno» disse Angelo, che aprì la porta e uscì dalla stanza. Si nascose dietro un cespuglio lì vicino. Quando Jiah uscì dalla prigione, si era rimesso pantaloni e mutande dopo una ripulita con la carta igienica e la bottiglietta d'acqua rimasta. Si guardò intorno: la prigione di cemento era in mezzo a una campagna sperduta. Un cubo di cemento in mezzo al verde. Il Sole stava per tuffarsi dietro una collina e riempì quel posto desolato con i colori caldi del tramonto, e il profumo della primavera sostituì quello schifo che gli aveva invaso le narici per tutto il tempo.
«Ehi, Angelo, guarda cosa ho trovato» disse mostrandogli un revolver.
Poi si sentì un rumore in lontananza. Si voltarono entrambi in quella direzione e videro una macchina con i vetri oscurati.
«Cazzo, è Murano. Sta arrivando» disse Angelo.
«Dobbiamo farlo fuori e prendergli la macchina. Scappare non ci conviene. Io non sono per niente in forma e comunque ci vedrebbe a chilometri di distanza» disse Jiah.
Torna dietro a quel cespuglio. Io entro dentro. Cerchiamo di attaccarlo da due direzioni.
Angelo tornò al cespuglio e Jiah nella prigione. L'auto si fermò nelle vicinanze. Murano scese e si avviò verso la porta. Jiah l'aprì con un calcio e uscì puntandogli la pistola contro.
«Tieni le mani bene in vista, Murano» disse Jiah.
Murano notò che la mano di Jiah tremava vistosamente a causa della maratona, mostrò un ghigno e disse:
«Non ci penso proprio» La sua mano andò fulminea dietro la schiena per prendere la pistola. Jiah sparò un colpo e lo prese a una spalla. Murano ruggì come un leone e fece un passo indietro appoggiandosi alla portiera della macchina.
Angelo schizzò fuori dal cespuglio, saltò sul cofano e infine sulla sua testa. Gli coprì gli occhi con le mani, cercando di ficcarci le dita. Murano cominciò ad agitarsi, alzò la pistola e sparò in aria un paio di volte nel tentativo di colpirlo.
«Che cazzo stai aspettando, Jiah? Spara» fece Angelo.
Jiah sparò tre colpi, e sul vestito bianco di Murano sbocciarono tre rose di sangue. Si mise in ginocchio e cadde faccia a terra. Angelo saltò un attimo prima. Jiah si avvicinò, mise la punta della scarpa sotto la spalla di Murano e lo girò. Era ancora vivo e ansimava come un pesce fuori dall'acqua:
«Vi ammazzo, figli di puttana» disse mentre tossiva sangue.
«Vai a rompere i coglioni all'inferno, gelataio del cazzo» disse Angelo, che gli assestò un calcio in faccia con la suola della scarpa. Il naso di Murano fece il rumore simile alla rottura di un guscio di noce, poi gli uscirono un paio di bolle di sangue dalla bocca e morì.
«Era ora. Andiamo a liberare mia moglie e mia figlia» disse Angelo. Jiah annuì, prese la pistola di Murano e buttò l'altra, ormai scarica. Salirono in macchina e partirono.
Durante il viaggio, Angelo disse a Jiah che Murano aveva messo un bestione grande e grosso quanto Tonka a guardia del granaio.
«Anche se ci vede arrivare non sospetterà mai che siamo noi. Penserà che Murano sia tornato da quelle parti per dare una controllata. Abbiamo la fortuna di avere i vetri oscurati. Ci avviciniamo, abbassi il finestrino e lo fai fuori»
«Semplice e veloce» disse Jiah.
«Esatto» disse Angelo.
Fecero qualche chilometro e scorsero il granaio in lontananza. Lo scagnozzo di Murano era proprio davanti al grosso portone di legno e, come aveva previsto Angelo, quando vide la macchina non sfoderò la pistola. Jiah si fermò proprio davanti a lui. Prese il revolver e non abbassò il finestrino fino a quando l'energumeno non si fosse avvicinato abbastanza da centrarlo senza difficoltà; lo crivellò di colpi.
L'energumeno cadde a terra come un sacco di patate e morì in una nuvola di polvere.
«È fatta» disse Angelo.
«Non ancora» disse Jiah, che puntò la canna della pistola verso di lui.
«Che cazzo fai?»
«Un po' mi spiace, Angelo. Davvero. Solo che la mia natura non mi permette di mettere niente e nessuno tra me e le mie prede» disse Jiah.
«Allora sei stato tu. Hai fatto fuori la moglie di Murano»
«Perspicace, ma non abbastanza»
«Sei un bastardo, ti ho salvato il culo, dovresti essermene grato»
«Dove sta scritto?»
«Lascia stare la mia famiglia, ti prego»
«Assolutamente no. Te l'ho detto, è la mia natura»
«Spero che quando andrai all'inferno troverai Murano ad attenderti, e che ti faccia la festa che ti meriti, bastardo!»
«Staremo a vedere. Per ora sarai tu a fargli un po' di compagnia»
Jiah gli sparò in mezzo agli occhi, il bandana volò via e mostrò un aggrovigliamento di capelli simili a un castoro investito da un trattore. Il finestrino dietro la testa di Angelo si chiazzò di rosso e frammenti di materia celebrale gli schizzarono contro.
«Brutta pettinatura, amico. Mi fai sentire orgoglioso della mia pelata» disse Jiah, che poi scese dall'auto e gettò la pistola. Rovistò nella tasca dei pantaloni e tirò fuori le corde della chitarra che aveva preso nella prigione di cemento. Le avvolse un paio di volte attorno alle mani e diede un paio di strattoni.
«Non c'è niente di meglio» disse. E si avviò verso il granaio.
«C'è qualcuno? Abbiamo sentito degli spari» disse una voce femminile all'interno del granaio.
«È tutto a posto. Mi ha mandato Angelo per aiutarvi» rispose Jiah. La Luna piena era comparsa in cielo e l'aria era fresca e pulita, con un leggero sentore di fieno. Jiah aprì il portone, che scricchiolò come le assi di una vecchia nave pirata, entrò e passò tutta la notte -a modo suo- con la famiglia di Angelo.



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