martedì 15 gennaio 2013

il becchino cap. 3

Il giorno dopo, Peppe si svegliò vedendo il mondo offuscato, aveva il cervello disidratato e un martello che picchiava dentro la scatola cranica. Uscì dalla camera da letto e scese le scale barcollando.
«Peppe, sei tu?» disse Fabio dalla cucina.
Peppe seguì la voce, girò un angolo e lo vide mentre preparava un caffè.
«Cazzo, un caffè ci vuole proprio. Fammene una tazza» disse Peppe.
«L'ho già preparata, siediti pure» disse Fabio.
«Magari potessi farlo. Ho un dolore al culo che mi sta uccidendo. Che letto di merda hanno i tuoi?»
«Non è colpa del letto,» disse Fabio, che intanto si era preparato una tazza di caffè per sé « è che ti ho inculato» fece poi, e bevve un sorso.
«Cosa, scusa? Che cazzo hai detto?» disse Peppe.
«Che ti ho inculato, ho infilato il mio cazzo nel tuo buco del culo, per tutta la notte» disse Fabio.
«Dì un po', vuoi morire? Mi stai facendo girare i coglioni» disse Peppe.
«Sì, potresti farlo. Potresti uccidermi. Ma c'è un'altra cosa: ho filmato tutto e, mentre dormivi ho spedito i filmati via mail a dei miei amici, e se dovesse succedermi qualcosa, il mondo vedrebbe cosa ti è successo, e tu non saresti più “Il becchino” agli occhi di tutti. Ma “Il becchino che lo ha preso in culo”. Saresti ancora cattivo, ma saresti un cattivo con l'ano sfondato» disse Fabio, e fece un altro bel sorso di caffè.
«Tu non sai che voglia che ho di farti fuori» disse Peppe.
«Sì che lo so, è la stessa che ho avuto io quando mi hai pestato al parco. Ora ascoltami bene. Non dovrai alzare le mani a nessuno, mai più. E non venire più alle mie feste. Se starai tranquillo, io starò tranquillo. Credo che il tuo orgoglio macho valga di più della mia vita, no? Soprattutto nell'ambiente del rugby. Sei in odore di nazionale, se non sbaglio. Pensa se i tuoi compagni lo venissero a sapere» disse Fabio.
Il becchino grugnì e prese la tazza di caffè. Ingollò tutto il caffè d'un fiato e la disintegrò per terra. Poi si alzò e si avvicinò all'ingresso.
«Che gran figlio di puttana. Troverò un modo per fartela pagare. Quando ti inculerò io non sarà certo piacevole, stanne certo» urlò Peppe. Quando arrivò alla porta, sentì la testa girare e gli occhi chiudersi. Cadde a terra e si addormentò. Fabio, grazie a Peppe, aveva scoperto che il suo “hobby” era piacevole anche con gli uomini, così aveva deciso di farsi un altro giro sul becchino, poi, appena finito, lo avrebbe caricato in macchina e lo avrebbe scaricato davanti a casa sua.
Se lo mise di nuovo in spalla, salì le scale ed entrò in camera da letto, chiudendo la porta dietro di sé.

ALLEGATI:


 





COLONNA SONORA:

 

Il becchino cap 2

Arrivò la sera. Fabio sistemò gli snack dentro delle vaschette di plastica, aprì una cartone di birre e le mise in frigo. Si posizionò dietro al bancone del prezioso angolo bar di suo padre, e mise in ordine i super alcolici. Tutto era pronto. A lui piaceva un sacco organizzare feste. Ne faceva almeno una al mese, e sempre più persone volevano parteciparvi. I suoi, per lavoro, viaggiavano molto ed erano quasi sempre assenti. Così Fabio poteva sfruttare la villa a due piani per fare baldoria. La gente cominciò ad arrivare e non ci volle molto prima che la casa si riempisse di ragazzi e, soprattutto, ragazze. Fabio rimase dietro al bancone del bar a fare cocktail e chiacchierare un po' con tutti. La festa proseguì con lo stereo a palla, tutti che cominciavano a essere ubriachi e le ragazze più disinibite. Era la parte delle feste che Fabio preferiva. Così poteva avvicinare qualche bella topa e lavorarsela fino ad arrivare al clou della serata. La camera da letto dei suoi, al piano di sopra. Fino ad ora era sempre andato a segno. Ma quella sera le cose sarebbero andate diversamente. Fabio aveva appena finito di preparare un Cuba Libre a una bella bionda quando sentì sbraitare qualcuno all'entrata. Sbiancò all'improvviso perché capì subito di chi si trattava. Quella voce simile a una macina da caffè si avvicinò sempre di più.
«Ciao, bella figa. Dopo ti vengo a prendere, ok?»
Sempre di più.
«Carlo, domani mi dai il tuo pranzo. E dì a tua madre di non fare un panino di merda, altrimenti tolgo il ripieno e ci metto la mia, di merda, e te lo faccio mangiare»
Sempre di più.
«Manica di sfigati col cazzo piccolo, la mia mano è vuota non vedete? Qualcuno mi faccia un drink, che cazzo»
Finché non se lo trovò davanti. Il becchino lo riconobbe, ma non fece nessun tipo di espressione; per lui, quello che aveva fatto quel pomeriggio a Fabio, era una cosa normalissima. Come quando passi la suola della scarpa sul marciapiede per toglierti la merda di cane che hai pestato. Fabio, invece, se la stava letteralmente facendo sotto, stava pregando tutti i santi del paradiso perché il becchino non gli desse un'altra ripassata.
«Guarda guarda chi si vede. Il bugiardo figlio di puttana. Che ci fai qui?» disse Peppe.
«È casa mia» rispose Fabio.
«Ma davvero... e come mai questa festa?»
«Nessun motivo in particolare, è semplicemente una festa»
«E ne organizzi molte di queste feste?»
«Qualcuna»
«Bene, bene. E ti dispiace se d'ora in poi verrò alle tue feste?»
«Assolutamente no»
«Lo vedi? Così mi piaci, senza creare problemi. Ora fammi da bere, stronzo»
Fabio prese una bottiglia di whisky e ne versò un paio di dita in un bicchiere.
«Cos'è 'sta roba? Mi prendi per il culo? Riempi il bicchiere di quella merda fino all'orlo»
Fabio obbedì. Peppe prese il bicchiere e si allontanò salutandolo con qualche altro epiteto raffinato dei suoi.
Appena si allontanò, Fabio cominciò a pensare sul da farsi. Si voleva vendicare di quel bastardo, e doveva toglierselo subito dai piedi, altrimenti avrebbe rovinato le sue feste e piano piano non ci sarebbe andato più nessuno. Andò in cucina, aprì un'anta sopra il lavandino e prese il sacchetto che aveva ritirato in farmacia. Tirò fuori una scatola di Minias in gocce. Disse al medico che soffriva d'insonnia, così da potersi far dare la ricetta. In realtà, Fabio era un depravato. Durante le feste metteva le gocce di sonnifero nei drink delle ragazze. Così, con la scusa dello svenimento da alcool, le portava di sopra, in camera da letto, e se le scopava per tutta la notte. Tanto il giorno dopo non si sarebbero ricordate più di niente. Avrebbero avuto solo un gran mal di testa. E anche se avessero sospettato qualcosa, non sarebbe stata la prima volta che si scopavano qualcuno da ubriache perse, senza ricordarsi niente. Era da un po' che faceva questa cosa, e gli piaceva da matti. Ma ora c'era qualcosa di più urgente da fare. La serata precipitò velocemente. Peppe cominciò a molestare le ragazze, anche quelle già occupate. E se i rispettivi compagni provavano a dire qualcosa, volavano sberle. La gente cominciò ad andarsene; gli ultimi rimasti lasciarono la villetta quando videro Peppe, ciucco tradito, pisciare dentro il vaso che conteneva la pianta preferita della madre di Fabio. Fabio lo vide, ma non reagì in alcun modo, rimase tutto il tempo nella zona cocktail. Preparò un bicchiere di whisky e ci mise le gocce di sonnifero. Peppe si presentò qualche minuto dopo. Barcollava come per reggersi in piedi su una nave aggredita da una tempesta. Si avvicinò a Fabio, appoggiò i gomiti sul bancone e disse:
«Sono andati via tutti. Che si fottano, questa gente non si sa divertire. Ce l'hai un altro bicchiere?»
Fabio annuì e prese il bicchiere che aveva preparato in precedenza. Il becchino fece tre sorsate feroci e lo finì.
«Volevo dirti una cosa. Non mi dispiace affatto averti pestato in quel parco. Sei un bugiardo del cazzo. Quei soldi ce li avevi. Guarda. Guarda che villa. Brutto figlio di puttana» disse Peppe voltandosi goffamente e appoggiando la schiena contro il bancone.
«Ti senti bene?» chiese Fabio. Aveva notato che il sonnifero misto all'alcool stava già facendo effetto. La faccia di Peppe sembrava una vecchia pezza di daino e le ginocchia cominciavano a cedergli.
«Se va tutto bene? Certo. Mi sento invincibile, cazzo» disse Peppe, che poi crollò a terra svenuto. Fabio fece una fatica del diavolo per tirarlo su e metterselo in spalla. Salì le scale lentamente, appoggiandosi alle pareti quando ne aveva bisogno. Arrivò alla camera da letto, aprì la porta, entrò e fece cadere Peppe sul letto.
«A noi due, becchino» disse Fabio.

Il becchino cap.1

Fabio aveva quasi completato i preparativi per la festa a casa sua. Era passato dal supermarket per prendere snack, alcool, bicchieri e piatti di plastica. Gli rimaneva solo una cosa da fare. Doveva fermarsi in farmacia per prendere dei medicinali che aveva finito.
Era un bel giorno di primavera. Il Sole scaldava il giusto e il cielo era di un blu intenso. La città era nel pieno della vita: le persone che camminavano in ogni direzione, i rumori del traffico, le ragazze che cominciavano a indossare roba più leggera. Fabio entrò nel parco della città. Attraversandolo, avrebbe accorciato di parecchio il tragitto per la farmacia. La gente di solito tende ad evitare quella strada, perché era frequentata da spacciatori e puttane. Ma a lui non preoccupava. Ci era nato e vissuto in quell'ambiente e sapeva come comportarsi:
«Mi faccio i cazzi miei. Basta camminare spediti e non guardare nessuno troppo a lungo» disse tra sé e sé.
Le prime persone che incontrò furono due prostitute moldave; sembravano truccate come se qualcuno gli avesse sparato il trucco in faccia con un fucile a pompa. Erano sedute su delle sedie di plastica, mentre fumavano una sigaretta, a gambe larghe. Non portavano le mutande.
«Hey, bello. Lo vuoi un pompino?» chiese una di loro.
Fabio fece di no con la testa e proseguì per la sua strada. Altre due mignotte, più avanti, questa volta nessuna disse niente, si limitarono a guardarlo e a sorridere ammiccanti. Subito dopo, un tizio magro come una cannuccia e col viso spigoloso, comparve da dietro un albero. Indossava vestiti più grandi di lui di almeno due taglie. Gli si fece incontro con una camminata veloce. Passò accanto a Fabio e disse: «Fumo?»
Fabio rispose di no e continuò a camminare. Lo spacciatore fece la stessa cosa. A metà strada vide avvicinarsi la sagoma di un tizio grande come un armadio. Quando fu più vicino riuscì a riconoscerlo. Era Peppe, detto “Il becchino”. Non esattamente una brava persona. A scuola lo chiamavano “il becchino” perché chi lo incontrava andava verso morte certa. Era un giocatore di Rugby, una seconda linea, per l'esattezza. E di solito, quelli che giocano in seconda linea, sono gli energumeni della squadra. Tori da combattimento agonistico. Peppe era scappato dal recinto. Era grosso e cattivo, e sapeva di esserlo. Amava pestare le persone per i motivi più futili. Bastava non andargli a genio o che avesse una giornata storta per sfogarsi con chiunque. Una volta mandò un tizio in ospedale. Gli aveva chiesto l'ora, il tizio non aveva l'orologio; Peppe si incazzò di brutto e cominciò a riempirlo di pugni, fino a lasciarlo per terra svenuto e con un paio di denti in meno.
«Vai dritto per la tua strada. Non guardarlo» si disse Fabio. Il cuore cominciò a martellargli nel petto e le gambe all'improvviso divennero gelatinose. I due si incrociarono, e Peppe non disse niente. Fabio, dopo essergli passato a fianco, cercò di allungare la falcata, così da allontanarsi il più in fretta possibile.
«Oh, tu» sentì Fabio alle sue spalle, e la sua fronte cominciò a imperlarsi di sudore freddo.
«Ce l'ho con te, cazzone. Che hai, sei sordo?» disse Peppe.
Fabio si fermò e si voltò:
«Scusami, non avevo sentito» disse.
«Ce l'hai una sigaretta?»
«Non fumo, mi dispiace»
«Be', io ho una gran voglia di sigaretta. Perché non mi dai cinque euro, così mi compro un pacchetto»
«Non ho soldi con me»
«Secondo me ce li hai, invece. Sai chi sono?»
«Sì, sei il becchino»
«Esatto, sono quel figlio di puttana del becchino. Ora rispondi a un'altra domanda. Vuoi che ti faccia male?»
«No»
«Bene. Tira fuori quei cazzo di soldi, allora. Sto cominciando a perdere la pazienza»
Fabio frugò nelle tasche dei pantaloni e tirò fuori una banconota da cinque euro. Peppe la prese. Poi, all'improvviso, sferrò un destro allo stomaco di Fabio, che cadde a terra in ginocchio, piegato in due, senza fiato. Il becchino alzò di nuovo il destro e gli scaricò una sassata in faccia dall'alto verso il basso. Fabio cadde per terra con il volto che scottava come il fuoco e che pulsava di dolore, e ancora non era finita. Il becchino gli diede due calci alle costole, poi gli alzò la testa tirandola su per i capelli e gli mollo un ceffone pesante quanto un ferro da stiro.
«Lo vedi? Mi hai fatto perdere tempo, mi hai mentito e mi hai fatto incazzare. La prossima volta te le do sul serio, stupido coglione» disse Peppe, e se ne andò. Fabio rimase giù per un po'. Quando cominciò a riprendersi vide una fontanella, lì vicino. Si avvicinò e si diede una sciacquata. Riempì la bocca d'acqua fresca, la agitò tra le guance e sputò sangue. I tagli all'interno gli facevano un male cane, come se avesse masticato lamette. Dolorante riprese il suo cammino in direzione della farmacia.