martedì 25 marzo 2014

Risveglio

Ho partecipato con questo racconto al premio  scheletri. Settimo posto su venti. Vincevano i primi tre.


Tamburi e voci si fanno spazio nelle orecchie di Jamhil, fino a invadergli la mente.
Apre gli occhi, si ritrova immerso nelle tenebre, sdraiato in uno spazio ristretto, con le mani incrociate sul petto. Nelle narici, odore di legno bagnato e terra umida.
Prova ad aprire la bocca, ma non ci riesce. Sposta le mani e con le dita tasta lo spago che gli serra le labbra increspate.
Muove la lingua, sente la consistenza e il sapore dei semi di sesamo.
Una voce greve spicca sulle altre, lo chiama.
Jamhil gratta con le unghie la superficie legnosa.
«Spirito vitale che ti muovi nell'aria, entra in questo corpo, riempilo del tuo alito, restituiscigli la forza, risveglialo al potere del dio eterno, fallo camminare in questo luogo! Perché io sono lo strumento del potere di Thayth, il santo dio. Jamhil, vieni a me.»
Jamhil non vuole rispondere, perché sa che sarebbe la fine del suo viaggio verso l'aldilà, e l'inizio del suo percorso da non morto. Per questo Edwidge, una volta deceduto, gli mise dei semi di sesamo in bocca e gli cucì le labbra. Per resistere al richiamo del Bokor.
Non riesce a controllare i muscoli del viso, si contraggono con riflessi involontari e la carne delle labbra si dilania mentre si aprono.
«Diventerai il mio schiavo, Jamhil?»
Jamhil sputa le semenze e strappa le cuciture in un urlo ormai disumano.
Le pale affondano nel terreno, il cigolio dei chiodi, il legno che scricchiola mentre li rimuovono dal coperchio.
I tamburi e i canti rituali si fermano. Il silenzio immerge il cimitero in uno stato di quiete.
Jamhil guarda la luna piena color sangue e le lacrime gli rigano il volto scavato. Lo prendono per le braccia, lo mettono in piedi e lo portano davanti a De Souza: teschio bianco dipinto sulla faccia d'ebano, collana d'ossa di pollo e un bastone con piume di gallo nero. Sorride con i denti perlati.
«Pensavo di non farcela. Per essere uno schiavo denutrito sei resistente. Ma ora è tempo che paghi per le tue malefatte. Sapevi fin dall'inizio cosa sarebbe successo se avessi continuato, e sai come trattiamo queste cose ad Haiti. Ora voltati e guarda.»
Jamhil sposta lo sguardo. Edwidge è legata a un palo, nuda. Il sangue le sgorga dalla bocca, cola sul mento, giù per il collo e si dirama in piccoli rivoli sui seni.
«Le ho dovuto tagliare la lingua. Ha imparato da me il rito per difenderti, ma se non citi la formula, semi e spago non funzionano a dovere.»
Jamhil scuote la testa. De Souza si avvicina, apre la mano all'altezza della bocca, sul palmo una polvere gialla. Gliela soffia in faccia e i bulbi oculari si fanno lattiginosi.
«E adesso nutriti del tuo amore.»
La donna, in lacrime, urla e sputa sangue verso il marito, mentre Jamhil si avvicina barcollante.
Una volta di fronte all'amante, appoggia le labbra sul collo.
«Ti amo» è l’ultima cosa che riesce a dire prima di perdere lucidità.
De Souza ride, fa un gesto con la mano, tamburi e canti rituali tornano a riempire l'aria.
Quello che all'inizio sembra un bacio diventa un morso, un pasto, un amore finito.