martedì 10 luglio 2012

La valigetta

Quel giorno, Henry Monroe si godeva una passeggiata sulla spiaggia. Indossava una t-shirt dei Primus e dei jeans risvoltati fin sopra le caviglie. Nessuna presenza, a parte un paio di granchi che se la spassavano sul bagnasciuga. Il sole, di un bel arancione acceso, sembrava inzuppato per metà nel mare caldo della sera. La brezza gli accarezzava i capelli color cenere e la voce del mare sembrava quella di una madre amorevole. Henry si soffermò ad ammirare le evoluzioni di un gabbiano in cerca di cibo: qualche volteggio, poi scese in picchiata, ed entrò in acqua a gran velocità. Schizzò fuori con un pesce nel becco allontanandosi fino a diventare una piccola “v” che si sciolse nel sole. Henry sorrise e continuò la sua passeggiata. A un tratto intravide la sagoma di un uomo di colore, nero come inchiostro di seppia, che seduto sulla sabbia armeggiava con qualcosa di luccicante. Avvicinatosi i dettagli si fecero più nitidi: il tizio indossava un gessato grigio e una camicia color perla. L'uomo vide Henry e gli fece un gesto di saluto:
«Hey, amico, avvicinati» disse. Quei bagliori provenivano da una valigetta in alluminio, simile a quelle che si vedono nei film di spionaggio:
«Dannazione a queste cerniere. Scusa, amico. Devono essere difettose. Hai qualcosa per provare ad aprirle?»
«Dipende. La valigetta ti appartiene?»
«Stai tranquillo, non l'ho mica rubata. Senti, ho della birra ghiacciata. Qui, in questa borsa frigo.» Si voltò, ne pescò una e la offrì a Henry. «Avevo deciso di festeggiare da solo, ma il destino ha voluto donarmi qualcuno con cui condividere questo momento.» Henry, alla vista della brina sul vetro della bottiglia, schioccò la lingua, accettò la birra e strinse la mano all'uomo: «Henry Monroe, piacere.»
«Dottor Martin Donovan. Piacere mio, signor Monroe.» Henry prese l'accendino dalla tasca e fece saltare il tappo. Buttò giù un bel sorso: frizzante e rinfrescante al punto giusto. «Ci voleva, eh?» disse Martin. «Eh, sì. Mi sembrava di avere la gola rivestita di sabbia» rispose Henry.
«Ora me la dai una mano?»
«Ah, scusa, quasi dimenticavo...» Henry infilò le mani nelle tasche e cominciò a frugare. Estraendo poi un coltellino svizzero multiuso: «Oh, perfetto» disse Martin. Henry si sedette vicino a lui, prese la valigetta, tirò fuori la lama dal coltellino e cominciò a lavorare sulle cerniere.
«Posso farti una domanda?» disse Henry.
«Cosa contiene?» rispose sorridendo Martin.
«Esatto»
Martin si voltò a scrutare l'orizzonte. Un sipario blu con qualche punto di luce stava per fagocitare il sole, divenuto una striscia di lava:
«...Sai, ho lavorato tutta la vita per il contenuto di quella valigetta, e finalmente ce l'ho fatta» disse. Henry smise di maltrattare la valigetta e alzò la testa: «Ce l'hai fatta a fare cosa?» chiese.
«Non voglio rovinarti la sorpresa» disse Martin.
Henry aggrottò la fronte e si rimise al lavoro.
La cerniera scattò facendo un rumore metallico:
«Ok, e una ha ceduto» disse Henry, «Be', Martin, se ci hai lavorato tutta la vita, devi avere roba davvero forte, qui dentro» continuò.
«Roba fortissima, Henry,» rispose Martin «come entrare in un'altra dimensione»
«Non si tratta di droga, vero?»
«Cosa? No, no. Figurati»
«Non voglio guai!»
«Ti ho appena detto di stare tranquillo»
«Ok; voglio crederti.» Henry bevve un altro sorso di birra e si rimise al lavoro.
Anche l'altra cerniera scattò:
«E due» disse.
«Bene. Ora passamela, per favore»
Martin la prese e l'aprì: della spugna grigia proteggeva due fiale con del liquido all'interno, uno di colore verde e l'altro blu. Le tirò fuori con delicatezza dicendo:
«Ok, Henry. La fiala verde ha un effetto temporaneo, direi sulle dodici ore. Questa, invece,» continuò Martin mostrandogli l'altra «be', questa dura per sempre... Voglio farti un regalo. Prendi questa» disse passandogli la verde. Poi si alzò e cominciò a spogliarsi. Henry rimase interdetto: «Che diavolo stai facendo?»
Martin si tolse la giacca e mentre sbottonava la camicia disse: «Dove sto andando non mi servono vestiti». Finì di spogliarsi e tolse il tappo alla fialetta blu.
«Se berrai la tua, avrai una nottata spettacolare»
«Non credo che berrò questo intruglio, Martin»
«Sta a te decidere. Un consiglio, se sceglierai di bere, non spingerti al largo. Potrebbe essere pericoloso.»
«Ok» disse Henry, che dall'espressione sembrava avere appena visto passare un elefante in bikini.
«Bene, ora devo andare. Addio, Henry» disse Martin, che si avvicinò e gli strinse la mano. Henry non rispose. Sembrava una statua di cera. Martin si diresse verso il mare e ci entrò fino alle ginocchia, bevve quindi il liquido blu, gettando poi la fiala vuota. Cominciò a nuotare e, dopo qualche bracciata, si immerse. L'acqua iniziò a ribollire e Martin riaffiorò agitandosi in modo inconsulto e urlando come un ossesso. Henry, preso dal panico, lo chiamò due, tre volte, ma l'acqua non fece neanche una crespatura. Si alzò di scatto e corse verso la riva urlando il suo nome. Si tuffò e mulinò le braccia nel tentativo di raggiungerlo. A metà strada, Martin, riemerse facendo un gran salto. Henry si fermò, sorpreso dal balzo. Lo seguì con lo sguardo: la pelle lucida come una palla da bowling, le braccia fuse ai fianchi e le gambe trasformate in una coda. Il muso allungato e la voce somigliante al guaito di un cane con una zampa spezzata. Martin ricadde in acqua, e tornò la calma.
«Ma che cazzo...» disse tra sè Henry, attonito.
Riemerse un delfino nero. Si avvicinò a Henry, gli girò intorno un paio di volte e lo toccò col muso.
«Oh, porca puttana... Martin ... un delfino» disse Henry con l'espressione di un pesce palla. Il delfino fece un verso simile a una risatina e se ne andò. Henry tornò a riva sconvolto e si sedette vicino alla valigetta. Prese la fiala verde e ci pensò su. Fissò il mare scolandosi una birra e pensando a Martin, poi disse: «Sai che ti dico, Martin? Fanculo, ci provo» aprì la fiala e ne bevve il contenuto. Si alzò, si svestì e si diresse verso l'acqua. Una volta dentro, il cuore iniziò a battergli all'impazzata e le ossa presero a fargli un male del diavolo. Qualcosa gli stava crescendo ai lati del collo, toccandosi, sentì che si trattava di branchie. Aveva il respiro come quello di un asmatico e un desiderio irrefrenabile di immergersi. Andò giù e l'acqua divenne la sua aria. Si guardò le mani, le dita si fusero, si appiattirono, e diventarono delle pinne. Cominciò a rimpicciolirsi. Gli organi e le ossa cambiarono forma. Gli venne un gran mal di testa, più forte di quello di un risveglio post sbornia. Sembrava che quella parte del corpo dovesse esplodergli da un momento all'altro. Dopo tutto quel dolore e quel movimento, ne rimase solo un pesce, con striature blu e gialle sui fianchi e una boccuccia che aperta aveva le dimensioni di una fede nuziale. Decise di muoversi e schizzò come un proiettile. In preda all'euforia, piroettò con cambi di direzione improvvisi, scivolò tra le alghe e osservò dei granchi che passeggiavano sul fondo sabbioso. Nel frattempo il sole aveva lasciato spazio alla luna piena. I raggi argentei penetravano la superficie dell'acqua: un banco di tonni li attraversò: le scaglie riflettevano la luce, creando tanti piccoli flash. Henry si avvicinò a delle rocce. Un polpo si accorse della sua presenza e lo guardò minaccioso con i suoi globi carnosi. Spruzzò dell'inchiostro e tutto si fece buio. Henry, non sapendo cosa fare, si mise a nuotare a caso, cercando una via d'uscita in quella nube nera come il petrolio, che sembrava espandersi come l'universo. Quando se ne tirò fuori, si accorse di trovarsi al largo, dove Martin gli aveva raccomandato di non andare. Il motivo per quella raccomandazione gli si palesò subito davanti. Una sagoma nera arrivò dal nulla, grande quanto una barca a remi. L'ombra si voltò e mostrò un sorriso simile a un set di coltelli. Lo squalo lo guardò con occhi gelidi e si mosse per raggiungerlo. Henry si guardò intorno, scorse il banco di tonni e gli venne un'idea. Nuotò più in fretta possibile dirigendosi verso di loro, evitando per un pelo un paio di attacchi. Una volta davanti ai tonni virò di novanta gradi e le attenzioni dello squalo si spostarono verso una preda più succulenta. Henry arrivò esausto vicino alla riva. Tirò fuori il muso dal pelo dell'acqua. La notte aveva ceduto il posto a un cielo diurno, sgombro di nuvole, con il sole tornato una palla di fuoco. Il suo cuore riprese a battere come un martello pneumatico, e le sue lische fremere come scosse da un terremoto. Stava tornando umano. Per Henry fu un'esperienza che, per quanto rischiosa, gli avrebbe fatto ringraziare Martin per tutta la vita. Di certo non lo avrebbe raccontato a nessuno. Non ci crederebbe lui stesso. Non gli rimaneva che tornarsene a casa e tenersi questo segreto per il resto dei suoi giorni, ma un'ombra schizzò sopra la sua testa. Henry non fece in tempo a immergersi di nuovo che venne trascinato fuori dall'acqua da una morsa intenta a fargli esplodere le viscere. Vide la spiaggia allontanarsi, fino a diventare una miniatura.
Dopo aver sorvolato la scogliera, fu catapultato dentro a un nido, dove garrivano tre piccoli gabbiani. Sentì il dolore acuto del becco della madre che gli squarciava la pelle e capì di essere diventato il loro pasto.




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