lunedì 24 febbraio 2014

Il cannibale

Il cesso del pub è una fogna di piscio, feci e schizzi di vomito. Le persone comuni non resisterebbero più di cinque minuti senza avere conati. A me invece piace. È come se le mie narici fossero invase dall'odore dolce di un frutteto. Passo l'indice sul bordo e assaggio: saporito come crema di noci. È come una droga, non posso farne a meno.
Attraverso il pub e torno in strada, abbottono il cappotto e indosso i guanti. Salgo sul furgone, metto in moto e guido per le strade della città. Oggi ho voglia di femmina.
Qualche prostituta ha sfidato il gelo in cerca di clienti. Ne trovo una bionda, con culo e tette che vincono la gravità. Niente di artificiale. Rovinare la carne con quelle protesi o con le iniezioni di botulino è una bestemmia.
Metto la freccia e accosto. Abbasso il finestrino e la invito a salire. Ha un vestitino azzurro che sembra un fazzoletto. Il corpo sodo, gambe lunghe e affusolate. Appetitose.
Mi infilo in una stradina secondaria e mi fermo in una radura. I fari illuminano salviette e preservativi usati. Spengo il motore, mi volto verso di lei.
«Sei pronta per cominciare?» dico. Lei annuisce e sorride.
«Togliti il vestito.»
Esegue. Mette in mostra la pelle color latte e i capezzoli rosei. Schiumo dalla bocca come se ci fosse del detersivo. Non riesco mai a controllare la salivazione, davanti al cibo.
Spalanco la bocca. I denti cadono e dalle gengive carnose crescono le fauci taglienti come lame di ceramica. Le palpebre si ritirano fino a scomparire, i bulbi oculari escono dalle orbite attaccati a dei piccoli tentacoli e scrutano, venati di violaceo, quello spuntino notturno. Urla e prova ad aprire la portiera.
«Bloccata, signorina, mi spiace.»
Le immobilizzo la testa con le ventose cartilaginee che mi sono spuntate al posto delle mani e affondo le zanne nel cranio, le apro la calotta come una latta di fagioli e mi cibo del cervello: è come formaggio spalmabile, ma più saporito. Ancora caldo.
Mi crescono le tette, gli occhi ritornano nelle cavità oculari e si tingono di azzurro, le gambe nerborute e pelose lasciano il posto a un bel paio di cosce. Un' altra proprietà speciale della carne umana: mi fa mutare in ciò che mangio.
Getto il cadavere nella sterpaglia, metto in moto e torno a casa dentro un cappotto da uomo più grande di due taglie. Faccio una doccia e prendo un vestito dall'armadio. Ne ho di tutti i tipi e di tutte le taglie. Ne trovo uno nero, attillato, con la scollatura sulla schiena. Ormai sono anni che vivo qui e ho collezionato una sacco di roba, grazie alle mie prede, e so che ai maschi piace vedere queste cose. E a me piacciono loro. In realtà, da quando sono atterrato su questo pianeta, non ho trovato un tipo di umano che non mi piaccia.
Deliziosi.

Amici per la carne

Ciao a tutti. Ho formato una piccola confraternita su facebook. Appassionati di horror e scrittura. Mi consigliano e mi randellano come farebbe un forum letterario di tutto rispetto.
Questo racconto è stato bocciato. Questo non significa per forza che sia brutto. Solo ho proposto anche qualcosa di meglio. Saluti.

Lino armeggia con i fili d'accensione dell'auto. Deve tenere la testa piegata in avanti, altrimenti dovrebbe farlo con una guancia appoggiata al tettuccio. Le dita callose tremano, il sudore cola dalla sua fronte spaziosa e penetra negli occhi. Li asciuga con la manica della felpa, strizza le palpebre e si rimette al lavoro.
Ste è seduto di fianco, con i polmoni affamati d'aria, muove gli occhi in tutte le direzioni come se fosse affetto da nistagmo. Il volto smagrito, un pizzetto simile a una barbetta caprina, i capelli cadono sulle spalle unti e sporchi come alghe chiazzate di petrolio.
«Lino, devi darti una mossa. Questa mattina non ho proprio voglia di fare da colazione.»
«Ce la sto mettendo tutta, cazzo.»
«Ma non eri un elettricista, prima della pandemia?»
«Lo sono ancora, e sarei capace di farti l'impianto elettrico di un palazzo a occhi chiusi e con un dito in culo, ma queste cose non le ho mai fatte, e finiscila di rompere i coglioni, che sono già in difficoltà. Piuttosto, guarda nel cruscotto e vedi se trovi qualcosa di utile.»
Ste allunga la mano stanca e apre lo sportellino, rovista e trova un cd. Sulla copertina un motore rosso fuoco.
«Oh- oh. I Ministry. Questi sì che spaccano» dice con un filo di voce.
«Che album è?»
«Psalm 69.»
«Roba forte. Giuro che se riesco a far partire la macchina te lo faccio infilare.»
Ste alza gli angoli della bocca.
«Preferirei farlo in una vagina, ma mi accontento anche del lettore cd.» Continua a cercare e trova un coltellino. Sbuffa.
«Guarda.»
Lino distoglie lo sguardo dai fili.
«Con quello si puliscono i denti dopo averti divorato.»
«Meglio di niente.»
«Quello è niente, Ste. Comunque dammelo, così posso lavorare meglio.»
Ste glielo passa e Lino torna al lavoro. Toglie la gomma che riveste i fili di rame e li intreccia. Il motore si accende.
«Sì! Lo sapevo che ce l'avrei fatta.»
«Hai visto che ti serviva?»
Delle sagome barcollanti escono dai vicoli, dalle case, dai negozi. Sembrano materializzarsi dal nulla. Una signora anziana, con un morso sulla guancia grande quanto un pompelmo, spunta da dietro un cespuglio e si avvicina trascinandosi con gli avambracci. Non ha la parte inferiore del corpo e lascia una scia rosso scuro. Un pezzo di budella spunta fuori dal tronco come una lunga coda sanguinolenta.
«E questi da dove cazzo sono usciti?» dice Ste.
«Hanno sentito il motore. Per questo preferisco farmela sempre a piedi, ma se vogliamo raggiungere le montagne ci serve un'auto. Dobbiamo filarcela, tra poco saranno molti di più.»
L'anziana si attacca alla maniglia della portiera, batte i denti, ringhia e si tira su. Sbocca del liquame nero sul vetro, davanti allo sguardo atterrito di Ste.
«Parti, cazzo» dice.
Lino schiaccia il pedale dell'acceleratore, gli pneumatici lasciano i segni sull'asfalto. L'auto si allontana da una nuvola di fumo che puzza di gomma bruciata e si porta dietro la signora. Rimane attaccata per un bel pezzo, finché non molla la presa e rotola come un sacco di spazzatura caduto da un camion della nettezza urbana.
«Bene, ora puoi mettere il cd. Cerca “Jesus built my hotrod”. Quel pezzo è una bomba.»
«Hai detto che i divoratori sono attratti dal rumore.»
«Anche dall'odore del sangue caldo, se è per questo. Sono peggio di squali a digiuno da due mesi. Ormai ci hanno sentiti. Un po' di musica non peggiorerà la situazione, e comunque devo andare a tavoletta per uscire da qui. Una volta fuori dalla città abbandoniamo questo rottame e ce la facciamo a piedi.»
«Lino.»
«Ci costruiamo un rifugio. Coltiviamo un orto, e invecchiamo beati.»
«Non fare così.»
«Così, come?»
«Lo sai. Sono due giorni che mi porti in giro in spalla. Domani potrei non aprire gli occhi e vedere la tua faccia di merda, e soprattutto sentire l'odore delle tue ascelle. Cazzo, puzzano più di quei mostri incancreniti.»
Lino non risponde. Tiene lo sguardo fisso sulla strada. Le lacrime sgorgano come rivoli d'acqua.
«Ho paura di rimanere solo.»
«Sei grande e forte quanto un bulldozer. Non dovresti avere paura di niente e nessuno.»
«Il problema è il cervello, non il fisico. Ho paura di dare di matto e finire a mangiare la mia merda e a ridere come uno povero demente.»
«La scena della merda non vorrei perdermela.»
Lino lo taglia con lo sguardo.
«Tranquillo, tanto non ci arrivo, te l'ho detto. A parte gli scherzi. Devi tirare avanti. Qualche bella figa come me c'è ancora, in giro. Io devo solo tenerti compagnia per un altro po'.»
Infila il cd e seleziona il pezzo.
«Sai qual è la cosa più stronza che Dio possa fare? Farti ammalare di tumore durante un'epidemia zombi.»
L'introduzione di Al Jorgensen. La voce greve e profonda.
Soon i discovered that this rock thing was true
Jerry lee lewis was the devil
Jesus was an architect previous to his career as a prophet
Le chitarre distorte e la batteria sincopata partono come un treno. Jorgensen vomita parole come preso da un raptus incontrollabile.
Lino sorride e annuisce.
Sterza e controsterza. Schiva auto incidentate, abbandonate, alcune hanno ancora i proprietari all'interno, invasi dalle mosche e dai vermi. Passa su carcasse spolpate, investe i divoratori che attraversano. Uno è così decomposto da esplodere sul parabrezza, imbrattandolo di frattaglie.
Attiva i tergicristalli, che non fanno che peggiorare la cosa.
«Non vedo un cazzo» urla.
La macchina prende una buca, esce di strada e si schianta contro un albero.
Le casse continuano a sputare musica.
Lino è svenuto. Il volto appoggiato sul clacson e il naso fracassato.
Ste è fuori per metà dal finestrino. Chiama l'amico, mentre delle braccia putrefatte lo sfilano dall'auto.
I divoratori lo buttano per terra, lo annusano ma non lo mordono, come se sentissero l'odore degli organi guasti. Ste continua a chiamare Lino, che non si sveglia. Ormai l'hanno tirato fuori. Appena affondano i denti nella carne si sveglia, bestemmia e li allontana a spintoni. Raccoglie due pietre.
L'assolo di chitarra tagliente e grintoso.
I divoratori aumentano come formiche attirate da una mollica di pane.
Lino picchia con tutte le sue forze e i fragili crani dei divoratori che si avvicinano esplodono come palloncini riempiti di letame.
La chitarra si ferma. Voce e batteria cavalcano insieme. Bill Riefin ha picchiato quelle bacchette sul rullante per tutto il pezzo e continua come se volesse smontarlo a legnate.
Un imbianchino senza un braccio e con un occhio penzolante fuori dall'orbita, sorprende Lino alle spalle e gli affonda i denti nel collo. Lino urla, se lo scrolla di dosso, gli disintegra la faccia a sassate.
A terra, un bambino con le gambe che sembrano appena state frullate, gli azzanna un polpaccio. Lui si piega e cade su un ginocchio.
«Scappa Lino. Non mi mordono, sentono che sono malato. Torna dopo a riprendermi» urla Ste.
Lino annuisce e si alza a fatica, spinge e si fa strada coi sassi.
I Ministry pompano senza tregua, fino alla fine.
La voce di Al Jorgensen finisce solitaria, accompagnata da un rumore perpetuo di masticazione.
Jesus built my car
It's a love affair
Mainly jesus and my hotrod.

Lo stereo muore con la batteria della macchina. Ste aspetta con la schiena appoggiata a un tronco d'albero.
Una sagoma si avvicina. Ste sorride.
«Hey, era ora, dovresti metterti un po' a dieta, stai diventando lento.»
Lino barcolla, dalla bocca sbava liquame pecioso e gli occhi che sembrano bagnati nel latte.
Ste piange, scrolla la testa.
Lino arriva, si piega, lo annusa e continua per la sua strada, in cerca di carne buona.