Apro
gli occhi, mi ritrovo su un palco, di fronte a una folla urlante.
«Uccidetelo!
Fate fuori quel bastardo!»
Scuoto
la testa.
«Chi
siete?»
Sembrano
non ascoltare, incitano la morte pugni al cielo.
Provo
a ricordare. I pensieri come invasi da una nebbia sulfurea.
Guardo
ancora quella gente e mi accorgo che i loro sguardi inferociti non
sono diretti a me. Vanno oltre, dietro le mie spalle.
Mi
volto, strabuzzo gli occhi. La lama della ghigliottina sollevata da
un energumeno incappucciato. Un uomo nudo, inginocchiato, le mani
legate dietro la schiena, il collo in un incavo tra due assi di
legno. Piange e urla bestemmie.
Il
boia molla la corda. La lama precipita, un taglio netto, come una
spada affilata che apre in due un melone. La testa cade nella cesta,
ballonzola, quando si ferma gli occhi si muovono ancora. Lo sguardo
spaesato si arresta.
Mi
fissa.
Inorridisco,
indietreggio, con un piede sbatto contro qualcosa, mi giro, un altro
canestro di vimini, e la mia, di testa, pallida, con un'espressione
di terrore.
La
folla lancia ortaggi guasti e uova marce. Non mi colpiscono,
attraversano il corpo come se fossi fatto d'aria. Guardo le mani.
Diafane. Eteree.
Dunque
riserva questo la morte. Nient'altro che uno spirito che vaga senza
memoria.
Le
assi si squarciano sotto i miei piedi. Le ghigliottine, il boia, le
persone, tutto ovattato, sbiadito. Inghiottito.
La
voragine continua ad aprirsi, scivolo, ma nel cadere riesco ad
aggrapparmi al bordo del dirupo.
Dalle
viscere della terra arrivano implorazioni di voci tormentate. Mani
demoniache si allungano, mi afferrano le caviglie, tirano verso il
basso, e mentre precipito nel ventre dell'inferno i ricordi
riaffiorano.
Marie.
Il vicolo buio, io che le strappavo le vesti mentre supplicava di non
farlo.
La
violentai, le tagliai la gola con un rasoio.
E
fu bellissimo.