martedì 15 gennaio 2013

Il becchino cap.1

Fabio aveva quasi completato i preparativi per la festa a casa sua. Era passato dal supermarket per prendere snack, alcool, bicchieri e piatti di plastica. Gli rimaneva solo una cosa da fare. Doveva fermarsi in farmacia per prendere dei medicinali che aveva finito.
Era un bel giorno di primavera. Il Sole scaldava il giusto e il cielo era di un blu intenso. La città era nel pieno della vita: le persone che camminavano in ogni direzione, i rumori del traffico, le ragazze che cominciavano a indossare roba più leggera. Fabio entrò nel parco della città. Attraversandolo, avrebbe accorciato di parecchio il tragitto per la farmacia. La gente di solito tende ad evitare quella strada, perché era frequentata da spacciatori e puttane. Ma a lui non preoccupava. Ci era nato e vissuto in quell'ambiente e sapeva come comportarsi:
«Mi faccio i cazzi miei. Basta camminare spediti e non guardare nessuno troppo a lungo» disse tra sé e sé.
Le prime persone che incontrò furono due prostitute moldave; sembravano truccate come se qualcuno gli avesse sparato il trucco in faccia con un fucile a pompa. Erano sedute su delle sedie di plastica, mentre fumavano una sigaretta, a gambe larghe. Non portavano le mutande.
«Hey, bello. Lo vuoi un pompino?» chiese una di loro.
Fabio fece di no con la testa e proseguì per la sua strada. Altre due mignotte, più avanti, questa volta nessuna disse niente, si limitarono a guardarlo e a sorridere ammiccanti. Subito dopo, un tizio magro come una cannuccia e col viso spigoloso, comparve da dietro un albero. Indossava vestiti più grandi di lui di almeno due taglie. Gli si fece incontro con una camminata veloce. Passò accanto a Fabio e disse: «Fumo?»
Fabio rispose di no e continuò a camminare. Lo spacciatore fece la stessa cosa. A metà strada vide avvicinarsi la sagoma di un tizio grande come un armadio. Quando fu più vicino riuscì a riconoscerlo. Era Peppe, detto “Il becchino”. Non esattamente una brava persona. A scuola lo chiamavano “il becchino” perché chi lo incontrava andava verso morte certa. Era un giocatore di Rugby, una seconda linea, per l'esattezza. E di solito, quelli che giocano in seconda linea, sono gli energumeni della squadra. Tori da combattimento agonistico. Peppe era scappato dal recinto. Era grosso e cattivo, e sapeva di esserlo. Amava pestare le persone per i motivi più futili. Bastava non andargli a genio o che avesse una giornata storta per sfogarsi con chiunque. Una volta mandò un tizio in ospedale. Gli aveva chiesto l'ora, il tizio non aveva l'orologio; Peppe si incazzò di brutto e cominciò a riempirlo di pugni, fino a lasciarlo per terra svenuto e con un paio di denti in meno.
«Vai dritto per la tua strada. Non guardarlo» si disse Fabio. Il cuore cominciò a martellargli nel petto e le gambe all'improvviso divennero gelatinose. I due si incrociarono, e Peppe non disse niente. Fabio, dopo essergli passato a fianco, cercò di allungare la falcata, così da allontanarsi il più in fretta possibile.
«Oh, tu» sentì Fabio alle sue spalle, e la sua fronte cominciò a imperlarsi di sudore freddo.
«Ce l'ho con te, cazzone. Che hai, sei sordo?» disse Peppe.
Fabio si fermò e si voltò:
«Scusami, non avevo sentito» disse.
«Ce l'hai una sigaretta?»
«Non fumo, mi dispiace»
«Be', io ho una gran voglia di sigaretta. Perché non mi dai cinque euro, così mi compro un pacchetto»
«Non ho soldi con me»
«Secondo me ce li hai, invece. Sai chi sono?»
«Sì, sei il becchino»
«Esatto, sono quel figlio di puttana del becchino. Ora rispondi a un'altra domanda. Vuoi che ti faccia male?»
«No»
«Bene. Tira fuori quei cazzo di soldi, allora. Sto cominciando a perdere la pazienza»
Fabio frugò nelle tasche dei pantaloni e tirò fuori una banconota da cinque euro. Peppe la prese. Poi, all'improvviso, sferrò un destro allo stomaco di Fabio, che cadde a terra in ginocchio, piegato in due, senza fiato. Il becchino alzò di nuovo il destro e gli scaricò una sassata in faccia dall'alto verso il basso. Fabio cadde per terra con il volto che scottava come il fuoco e che pulsava di dolore, e ancora non era finita. Il becchino gli diede due calci alle costole, poi gli alzò la testa tirandola su per i capelli e gli mollo un ceffone pesante quanto un ferro da stiro.
«Lo vedi? Mi hai fatto perdere tempo, mi hai mentito e mi hai fatto incazzare. La prossima volta te le do sul serio, stupido coglione» disse Peppe, e se ne andò. Fabio rimase giù per un po'. Quando cominciò a riprendersi vide una fontanella, lì vicino. Si avvicinò e si diede una sciacquata. Riempì la bocca d'acqua fresca, la agitò tra le guance e sputò sangue. I tagli all'interno gli facevano un male cane, come se avesse masticato lamette. Dolorante riprese il suo cammino in direzione della farmacia.

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