martedì 15 gennaio 2013

Il becchino cap 2

Arrivò la sera. Fabio sistemò gli snack dentro delle vaschette di plastica, aprì una cartone di birre e le mise in frigo. Si posizionò dietro al bancone del prezioso angolo bar di suo padre, e mise in ordine i super alcolici. Tutto era pronto. A lui piaceva un sacco organizzare feste. Ne faceva almeno una al mese, e sempre più persone volevano parteciparvi. I suoi, per lavoro, viaggiavano molto ed erano quasi sempre assenti. Così Fabio poteva sfruttare la villa a due piani per fare baldoria. La gente cominciò ad arrivare e non ci volle molto prima che la casa si riempisse di ragazzi e, soprattutto, ragazze. Fabio rimase dietro al bancone del bar a fare cocktail e chiacchierare un po' con tutti. La festa proseguì con lo stereo a palla, tutti che cominciavano a essere ubriachi e le ragazze più disinibite. Era la parte delle feste che Fabio preferiva. Così poteva avvicinare qualche bella topa e lavorarsela fino ad arrivare al clou della serata. La camera da letto dei suoi, al piano di sopra. Fino ad ora era sempre andato a segno. Ma quella sera le cose sarebbero andate diversamente. Fabio aveva appena finito di preparare un Cuba Libre a una bella bionda quando sentì sbraitare qualcuno all'entrata. Sbiancò all'improvviso perché capì subito di chi si trattava. Quella voce simile a una macina da caffè si avvicinò sempre di più.
«Ciao, bella figa. Dopo ti vengo a prendere, ok?»
Sempre di più.
«Carlo, domani mi dai il tuo pranzo. E dì a tua madre di non fare un panino di merda, altrimenti tolgo il ripieno e ci metto la mia, di merda, e te lo faccio mangiare»
Sempre di più.
«Manica di sfigati col cazzo piccolo, la mia mano è vuota non vedete? Qualcuno mi faccia un drink, che cazzo»
Finché non se lo trovò davanti. Il becchino lo riconobbe, ma non fece nessun tipo di espressione; per lui, quello che aveva fatto quel pomeriggio a Fabio, era una cosa normalissima. Come quando passi la suola della scarpa sul marciapiede per toglierti la merda di cane che hai pestato. Fabio, invece, se la stava letteralmente facendo sotto, stava pregando tutti i santi del paradiso perché il becchino non gli desse un'altra ripassata.
«Guarda guarda chi si vede. Il bugiardo figlio di puttana. Che ci fai qui?» disse Peppe.
«È casa mia» rispose Fabio.
«Ma davvero... e come mai questa festa?»
«Nessun motivo in particolare, è semplicemente una festa»
«E ne organizzi molte di queste feste?»
«Qualcuna»
«Bene, bene. E ti dispiace se d'ora in poi verrò alle tue feste?»
«Assolutamente no»
«Lo vedi? Così mi piaci, senza creare problemi. Ora fammi da bere, stronzo»
Fabio prese una bottiglia di whisky e ne versò un paio di dita in un bicchiere.
«Cos'è 'sta roba? Mi prendi per il culo? Riempi il bicchiere di quella merda fino all'orlo»
Fabio obbedì. Peppe prese il bicchiere e si allontanò salutandolo con qualche altro epiteto raffinato dei suoi.
Appena si allontanò, Fabio cominciò a pensare sul da farsi. Si voleva vendicare di quel bastardo, e doveva toglierselo subito dai piedi, altrimenti avrebbe rovinato le sue feste e piano piano non ci sarebbe andato più nessuno. Andò in cucina, aprì un'anta sopra il lavandino e prese il sacchetto che aveva ritirato in farmacia. Tirò fuori una scatola di Minias in gocce. Disse al medico che soffriva d'insonnia, così da potersi far dare la ricetta. In realtà, Fabio era un depravato. Durante le feste metteva le gocce di sonnifero nei drink delle ragazze. Così, con la scusa dello svenimento da alcool, le portava di sopra, in camera da letto, e se le scopava per tutta la notte. Tanto il giorno dopo non si sarebbero ricordate più di niente. Avrebbero avuto solo un gran mal di testa. E anche se avessero sospettato qualcosa, non sarebbe stata la prima volta che si scopavano qualcuno da ubriache perse, senza ricordarsi niente. Era da un po' che faceva questa cosa, e gli piaceva da matti. Ma ora c'era qualcosa di più urgente da fare. La serata precipitò velocemente. Peppe cominciò a molestare le ragazze, anche quelle già occupate. E se i rispettivi compagni provavano a dire qualcosa, volavano sberle. La gente cominciò ad andarsene; gli ultimi rimasti lasciarono la villetta quando videro Peppe, ciucco tradito, pisciare dentro il vaso che conteneva la pianta preferita della madre di Fabio. Fabio lo vide, ma non reagì in alcun modo, rimase tutto il tempo nella zona cocktail. Preparò un bicchiere di whisky e ci mise le gocce di sonnifero. Peppe si presentò qualche minuto dopo. Barcollava come per reggersi in piedi su una nave aggredita da una tempesta. Si avvicinò a Fabio, appoggiò i gomiti sul bancone e disse:
«Sono andati via tutti. Che si fottano, questa gente non si sa divertire. Ce l'hai un altro bicchiere?»
Fabio annuì e prese il bicchiere che aveva preparato in precedenza. Il becchino fece tre sorsate feroci e lo finì.
«Volevo dirti una cosa. Non mi dispiace affatto averti pestato in quel parco. Sei un bugiardo del cazzo. Quei soldi ce li avevi. Guarda. Guarda che villa. Brutto figlio di puttana» disse Peppe voltandosi goffamente e appoggiando la schiena contro il bancone.
«Ti senti bene?» chiese Fabio. Aveva notato che il sonnifero misto all'alcool stava già facendo effetto. La faccia di Peppe sembrava una vecchia pezza di daino e le ginocchia cominciavano a cedergli.
«Se va tutto bene? Certo. Mi sento invincibile, cazzo» disse Peppe, che poi crollò a terra svenuto. Fabio fece una fatica del diavolo per tirarlo su e metterselo in spalla. Salì le scale lentamente, appoggiandosi alle pareti quando ne aveva bisogno. Arrivò alla camera da letto, aprì la porta, entrò e fece cadere Peppe sul letto.
«A noi due, becchino» disse Fabio.

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