mercoledì 18 aprile 2012

Il prete 8

«Dalla tua espressione direi che hai capito chi sono» disse Don Bruno «Non ci è voluto molto per convincere il prete che ero solo una ragazzina innocente, rapita da due "cattivoni" come voi. Appena si è avvicinato per slegarmi sono uscito dalla ragazza e sono entrato dentro di lui. Perché devi sapere che i demoni più potenti possono trasferirsi da un ospite all'altro quando ne hanno voglia. Nel prete mi ci sono tuffato. Calza a pennello» e si guardò le mani come se stesse osservando dei guanti pregiati. Poi piegò le dita come artigli: «Una volta dentro il prete le ho preso la testa tra le mani e ho cominciato a girarla. Mi sono fatto un po' trasportare... Sentire quel rumore simile a un fascio di rami che si spezzano è una goduria.» Si leccò le labbra, pensando che quando le girò il collo la ragazzina era cosciente. Sentì la torsione, il dolore e la vita che la abbandonava, facendole vedere il mondo a trecentosessanta gradi.
«Perché il prete? Perché non uno tra me e Sonny? Siamo più grossi e cattivi» chiese Leo. 
«Be', il piano iniziale era quello. Ma, come ho detto prima, appena vi ho sentito parlare di andare a prendere il prete in paese, ero tutto un fremito. Per noi, entrare dentro un prete e gettare la sua anima tra le fiamme, è come per voi vincere alla lotteria, con annessa la più bella pupa presente sulla terra.»
- Il prete forse può sentirmi, la ragazzina ogni tanto tornava in sé. Se riesco a farlo uscire anche per qualche secondo... - pensò Leo.
«Hey, prete! Mi senti? Vieni fuori, avanti!» urlò.

Il prete era prigioniero nell'oscurità, immerso in una melma dove sguazzavano creature striscianti, che lo mordicchiavano e gli penetravano negli orifizi, diventando voci che scorrevano nelle vene e attaccavano la testa. Voci di morte e di un destino nel buco del culo dell'inferno. Don Bruno sentì un eco lontano, ma non riuscì a cogliere nient'altro. Tornò alla sua disperazione.

«Oh, Leo. Volevi far riemergere il prete quel tanto che bastava per farmi fuori, vero? Ci provano sempre tutti. Non preoccuparti, è al sicuro nelle mie tenebre, ben distante da Dio. Non tutti sono abbastanza forti e devoti per resistere, anzi, la maggior parte sono l'esatto contrario. Il mondo è diventato più spietato, freddo e sempre meno credente. Prendere le anime ormai è come ordinare un take-away al fast food» disse il demone, sorridendo compiaciuto.
Leo appoggiava in pieno l'ultimo pensiero del demone. Il mondo era diventato una vera merda. Ma ora doveva pensare a salvarsi la pellaccia. Gli servivano più informazioni, uno spiraglio di luce, l'angolo cieco del pugile.
«Cos' hai fatto a Sonny?»
«Sonny?» disse il demone leccandosi nuovamente le labbra, e ciò non presagiva niente di buono: «Non tutta la storia che ti ho raccontato è vera.»
«Non mi dire...»
«Eh, già. Vedi, è vero che stava andando veloce, ma il furgone, la strada, la teneva bene. Stavo discutendo con Sonny, provocandolo riguardo al vostro litigio, così da farlo accelerare ancora un po'. Durante una curva ho preso il volante e ho sterzato di colpo. Siamo usciti di strada e siamo stati sbalzati fuori e lui a preso un tronco in pieno, io no. Ed è vero anche che era rimasto paralizzato dal collo in giù e che era ferito gravemente. Mi sono avvicinato a lui e gli ho dato un bel bacio. Gli ho acchiappato la lingua con i denti e l'ho strappata, lo messa bene in bocca e ho cominciato a masticare. Buona, sapeva di maiale. Poi gli ho ficcato le dita in un orbita e ho strappato via un occhio. L'altro gliel' ho lasciato sano. L'ultima cosa che ha visto prima di morire è stato il suo occhio schiacciato come un chicco d'uva sotto la suola della scarpa. Poi ho preso un pezzo di vetro rotto dal parabrezza sfondato e mi sono tagliato la fronte e la gamba. Ed eccoci qui, io e te.»
Leo intanto aveva recuperato le forze e si rimise in piedi.
Il demonio sorrise, guardò la pistola e poi guardò Leo.
«La faccenda dell'essere armato è sistemata. Ora vedremo quanto fumano le tue palle» e gettò la pistola.
«Come dite voi, roba da uomini! Forza ragazzone, vediamo come usi le mani.»
«Qualcuno ti ha mai fatto il culo?» 
«Negli ultimi tre secoli? No.»
«La rissa con Sonny l'hai persa.»
«La rissa con Sonny l'ho persa volutamente. Era solo per sgranchirmi un po'. Per spezzare la noia.»
«Però sei ferito.» 
«Cosa? Ah, questo» si passò una mano sulla fronte e il taglio sparì, come una spugna su una macchia di sugo «Ho qualche vantaggio, che ci vuoi fare.»
Leo fece una smorfia di disappunto, si diede un paio di pacche sui vestiti per togliersi la polvere e fece un accenno di stretching. Gesti inutili che gli servivano a guadagnare tempo per pensare a come attaccarlo.
«Ok, figlio di puttana. Occhio, perché ce la metterò tutta.»
«Non chiedo altro.»
Leo si scagliò verso il demone, pensando a tutto ciò che lo aveva fatto incazzare nella vita e alla vita stessa. Alimentò i muscoli con adrenalina e rabbia e spense il cervello, lasciandogli solo le informazioni immagazzinate da anni di galera, risse, sparatorie e violenza. Sapeva di avere poche possibilità, ma voleva rendergliela molto dura. Voleva togliergli quel cazzo di ghigno dalla faccia.
                                    
                                                 * * *        

La Luna era una pennellata color perla su un manto color catrame, bucherellato dalla luce delle stelle. Mancava ancora qualche ora al mattino e gli animali notturni in cerca di prede si muovevano e brulicavano e avevano fame. Il rifugio invece era silenzioso, immerso nelle trame della notte. Una sagoma aprì la porta e uscì. Piantò due paletti e legò una cordicella da una parte all'altra tenendola ben tesa. La sagoma rientrò per qualche minuto. Tornò fuori e la luce della Luna lo illuminò per un secondo. Era il demone, completamente nudo. Aveva in mano i vestiti da prete appena lavati e li appese con cura sulla cordicella. Teneva una sigaretta di Leo tra le labbra, che sfumacchiava a brevi sbuffi. Appese il completo scuro e il collarino ad asciugare e tornò dentro. Mise del caffè a scaldare sul fornelletto e si diresse al lavabo per darsi una sistemata. Una volta pronto prese una tazza di metallo e ne versò un po'. Prese la scatola di biscotti al cocco e si mise a sedere. Stese e accavallò le gambe. Aveva messo i corpi di Ester e di Leo uno sopra l'altro e gli sembrarono un ottimo poggia piedi. Annegò un biscotto nella tazza e lo assaggiò.
«Mmmh... davvero buoni» disse.
Gli cadde l'occhio sul corpo di Leo. Era impregnato di sangue e colava sul pavimento creando una pozzanghera rossa e scura. Aveva parecchie ossa rotte, e del bianco sporco fuoriusciva qua e là da braccia e gambe. La sua espressione rimase combattiva anche dopo la morte.
«Non guardarmi così, io una possibilità te l'ho data» disse il demone.


Passò la notte e il mattino tornò frizzante e pieno di vita (almeno fuori dal rifugio) e l'orchestra del bosco cominciò a suonare. Il demone uscì e tirò giù i vestiti dalla cordicella. Erano asciutti. L'aria profumata e la brina del mattino gli riempirono le narici. Odiava quell'odore. Quasi gli venne un conato di vomito. Tutta quella bellezza e purezza era uno schifo. Rientrò, indossò i vestiti e inspirò a pieni polmoni. Quello era l'odore che preferiva. L'odore della carne che marcisce, il misto del fetore della decomposizione con le feci fuoriuscite dai loro corpi. Ma era ora di andare. Tornò fuori e si incamminò verso il bosco. L'orchestra mutò e divenne un fuggi fuggi generale. Nubi di uccelli sporcarono il cielo e animali piccoli e grandi cercarono rifugio. Chi sugli alberi, chi in qualche tana. Finché non rimase il silenzio. Il demone sospirò: «Ah, finalmente un po' di pace» e si diresse in direzione del paese, fischiettando.       
                                          FINE


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2 commenti:

Lord Kalidon ha detto...

Grande!
Ma spiegami sta cosa dei biscotti al cocco?!?
Dannazione ora li voglio anchio!!
Lord

vitone ha detto...

Ahahaahha. Un biscotto cocco e cioccolato pucciato nel caffè. Mamma che goduria. Provalo Lord, poi mi dirai:)