Nando era impegnato a mantenere un'andatura normale, ma proprio non
ci riusciva: barcollava e inciampava, cadeva e si rialzava a fatica.
Mise la mano a conchiglia davanti alla bocca e ci alitò dentro.
Arricciò il naso e la testa scattò indietro.
“L'etilometro mi prenderebbe a schiaffi” disse.
Arrivò davanti a un portone e premette il pulsante del citofono.
“Sì? Chi è?” rispose una voce femminile assonnata.
“Betty, sei tu? Sono qui per la roba.”
“Ma vai a casa, che è tardi. Io lavoro, la mattina!”
“Ho solo sbagliato a citofonare, signora.”
“E chi se ne frega. Sono stufa marcia del via vai degli amici di
quella signorina tatuata. Vi manderei tutti in galera!”
E attaccò.
“Hai bisogno di qualcuno che ti fotta, bella mia: troppo stress”
Avvicinò la faccia alla pulsantiera e col dito seguì i cognomi
sulle targhette.
“Come diavolo faceva di cognome?”
Si grattò la barba incolta e premette di nuovo.
“Chi è?” rispose un'altra voce femminile, ma questa era più
vivace.
“Betty?”
“Nando! Vieni su, ti apro il portone.”
Entrò e salì in ascensore. Una volta arrivato al terzo piano bussò
alla porta e Betty aprì: era in jeans attillati e canottiera, si
intravedevano i tatuaggi che aveva su tutto il busto, dal collo in
giù, come se sotto avesse un'altra maglietta sporca d'inchiostro.
Sigaretta in bocca, rossetto rosso ciliegia e occhiali a montatura
grande alla Woody Allen. Nando sorrise.
“Betty la peste” disse.
“In persona, bello mio. Dai, entra, che parliamo un po'.”
L'appartamento era un monolocale grande quanto uno sgabuzzino, la
moquette verde consumata, un paio di vecchi mobili scrostati, un comò
e il cucinino in un angolo, con il lavello pieno di pentole e piatti
sporchi e gli avanzi di cibo che galleggiavano in una brodaglia
schiumosa e paglierina. Un'unica finestra, aperta sulla strada, da
dove entrava la voce del traffico di Milano del venerdì sera.
In mezzo alla casa un tavolinetto davanti al divano, un posacenere di
metallo colmo di mozziconi di sigarette e canne, e tutto il
necessario per tirarle su: filtri, cartine, blocco di fumo da un
etto, taglierino e accendino.
“Vieni qui, abbracciami” disse Betty.
Nando l'abbracciò e le diede un bacio per guancia.
“Simpatica, la tua vicina. Cosa fa di mestiere, si nutre di carne
umana?”
“Chi, la signora Peraglia? No, è solo una stronza che odia la
nostra generazione. Pensa che una volta stava sul marciapiede qui
davanti in attesa di attraversare e hanno investito un ragazzo
davanti ai suoi occhi.”
“E lei che ha fatto?”
Be', lei non ha mosso un dito. Quello era svenuto e con le gambe
spezzate, ma lei si è girata dall'altra parte e ha sputato per
terra. Ho visto tutto dalla finestra.”
“E che cazzo.”
“La stessa cosa che ho detto io. Comunque, lasciamo stare quella
strega e parliamo di cose serie. Ho qualcosa che ti spremerà il
cervello e ti farà uscire il succo dalle orecchie, ti
chiedo solo di ascoltarmi per un minuto, poi se non ti piace quello
che ho da proporti, ci ammazziamo di canne sul divano e buona notte
ai suonatori.”
Betty aprì il cassetto del comò, tirò fuori un pacchetto di
caramelle e glielo mise in mano.
“Ti presento, la Vulcano.”
Nando si grattò la barba. Tirò fuori una caramella dal pacchetto e
la sollevò all'altezza degli occhi.
“Questa è una gommosa alla
frutta. Vuoi sballarmi con gli zuccheri?”
“Non farti fregare dall'aspetto.
Quelle sono delle bacche particolari che hanno scoperto in Polinesia.
Provocano allucinazioni e, come vedi, si possono portare in tasca: a
prova di sbirro.”
“Sembrano proprio caramelle. Solo
tu potevi trovare una roba del genere.”
“Se mi chiamano la peste ci sarà
un motivo.”
“E
le hai provate?”
“No,
ma il tizio che me le ha vendute è uno fidato. Le ho pagate cento
euro l'una. Quindi, se vuoi provare...”
“Cosa?
Cento euro? Ma te sei fuori. Magari ti hanno fregata e ti hanno
rifilato delle caramelle per davvero.”
Betty si sistemò
gli occhiali sul naso con l'indice e sbuffò.
“E
va bene, facciamo così: se non sarai soddisfatto ti renderò il
centone.”
“Se
la metti in questi termini, ci sto.”
Nando le diede le
cento euro, Betty prese il pacchetto e tirò fuori due vulcano.
“Be',
alla salute” disse Betty.
“Slàinte.”
Le misero in bocca e
masticarono.
“Ha
un gusto aspro” disse Nando.
“Già,
speriamo bene.”
“Quanto
dovrebbe metterci a fare effetto?”
“Ah,
non ne ho idea.”
“Aspetta
un momento, cos'hai sul braccio?”
“Dove?
Non vedo niente.”
“Ma
sì, una fiamma, sul tuo avambraccio.”
Betty scattò in
piedi.
“Porca
puttana, hai ragione! Sto andando a fuoco!”
Guardò Nando.
“E
anche tu!”
Nando alzò le
braccia e prese a correre intorno al divano. Lei lo seguì a ruota.
“Aiuto,
aiuto! Andiamo a fuoco!” urlavano. Si buttarono per terra e si
misero a rotolare. Nando si rialzò, si tolse la giacca, gliela buttò
addosso e le diede delle pacche.
“Non
funziona, non funziona, moriremo bruciati!” urlò.
Poi si alzò e si
voltò verso il lavello.
“Ho
un'idea. Prendiamo le pentole e versiamoci l'acqua addosso” disse.
Presero una pentola
a testa e si versarono in testa l'acqua sporca.
Fradici e con gli
avanzi di cibo tra i capelli, si guardarono in giro con le pupille
grandi come piattini da caffè.
“Lo
sapevo, non dovevo farlo. La
tua roba è troppo forte!”
“Te
l'avevo detto che provocano allucinazioni. Non pensavo fossero così
realistiche. Cazzo, sento ancora il calore delle fiamme.”
Nando sembrava non
aver ascoltato una parola. Se ne stava immobile e con la bocca
aperta.
“Ma,
mi ascolti?” chiese Betty.
“Guardati
intorno, peste.”
Betty alzò lo
sguardo. Perse l'equilibrio e cadde con le chiappe sul pavimento.
“Siamo
in un bosco” disse.
Passò la mano sulla
moquette.
“Non
ci credo, non può essere, sto toccando dell'erba. Dove cazzo è
finito il mio appartamento?”
Qualcuno bussò alla
porta.
I due si fissarono
con gli occhi sgranati.
“Hai
sentito?” disse Nando.
“Sì,
cos'era?”
“La
volete finire con questo chiasso? Sono le due del mattino!”
Si sentì.
“Dei
versi animaleschi, tipo quelli del Sasquatch” disse Betty.
“Vuoi
dire un Bigfoot? E come diavolo fai a saperlo?”
“Ho
visto dei documentari e il verso che facevano sentire era simile.”
La porta si aprì e
la signora Peraglia entrò: bigodini in testa, maschera per il viso e
una vestaglia che sembrava un tendone da circo.
“Bene,
anche la porta aperta, facciamo entrare cani e porci. Allora, la
volete finire con tutto sto casino o devo chiamare i carabinieri?”
Nando e Betty
urlarono.
“Un
mostro con la testa piena d'occhi!” gridò lui.
“Sarai
bello tu” disse la signora.
“Ci
divorerà, saltiamo dietro quel cespuglio, presto” disse lei.
Saltarono dietro il
divano e si accovacciarono.
“Scommetto
che siete strafatti. Che schifo. Forza, venite fuori da lì.”
Nando si girò verso
la finestra.
“Guarda,
una grotta. Se riusciamo a entrarci potremmo nasconderci.”
“Ottima
idea, vado io per prima.”
“Comunque
non era un Bigfoot. Non esistono”
“Non
mi sembra il momento giusto per parlarne.”
“Ok,
vai e buona fortuna.”
Betty prese la
rincorsa e saltò giù dalla finestra. Si schiantò sul tettuccio di
una Ford e scattò l'allarme.
La signora spalancò
la bocca.
“Ma...”
Nando la fissò con
disprezzo.
“Non
ci avrai mai, mostro.”
Corse e saltò giù.
Finì sopra Betty e l'allarme della macchina si spense.
La signora si
affacciò e vide i due cadaveri uno sull'altro e la folla che si
radunava intorno.
“Stupidi
decerebrati, non meritate una lacrima” disse la signora.
Tornò dentro e
prima di andare notò sul tavolino il pacchetto di caramelle.
“Gommose
alla frutta. Le adoro. Tanto a loro non servono più.”
Ne mise una in bocca
e la masticò.
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