1.
Ramirez
fermò il cavallo davanti a una quercia alta quanto un fienile:
aveva il tronco nodoso e possente e i rami si intrecciavano fino a
costruire un tetto di fogliame vasto quanto un campo di granturco.
Da una
lettiga di legno, posta nella parte posteriore del cavallo, tirò giù
a fatica una cassa di legno verdognola. Poi alzò la testa e si
concentrò su un ramo in particolare, dove c'era attaccata una corda,
e alla corda un uomo appeso per il collo.
Tirò
fuori una cartina, del tabacco e si rollò una sigaretta. Prese un
fiammifero dal taschino del gilet di pelle e lo accese strofinandolo
contro il tacco dello stivale. Sbuffò il fumo fuori dalle narici e
disse:
«Brutta
fine, ragazzo.»
Il
collo del tizio appeso era ritorto in modo innaturale e aveva un
colore violaceo che diventava più intenso vicino al cappio. Era
vestito di quattro stracci impolverati: una maglietta di tela
bucherellata e zozza, come lerci erano i suoi pantaloni. Indossava un
paio di vecchi stivali sporchi di fango. Un mucchietto di mosche gli
svolazzava in cerchio sopra la testa creando un' aureola mortifera.
Cominciò
a tirare vento; il corpo oscillò e una folata spostò l'odore del
cadavere verso Ramirez, che si tolse i guanti di pelle e li mise
contro il naso.
«Que
huele mal,
non mi ci abituerò mai.»
Buttò
la sigaretta per terra e la schiacciò sotto la suola dello stivale.
«Vamos,
amigo.
Se vuoi che ti tiri giù da lì devi collaborare.»
L'impiccato
aprì gli occhi: erano acquosi e rossi come due pomodori maturi.
«Chi
sei?» disse con un filo di voce.
«Mi
chiamo Ramirez. Sono venuto a prenderti, Entiende?»
«Non
credo di aver capito.»
«Ricordi
la rapina in banca? Tu che esci di corsa con i sacchi pieni di
denaro, la carrozza, i cavalli... Ci sei finito sotto, hai perso i
sensi, lo sceriffo ti ha raccolto da terra che eri mezzo andato e
senza perdere tempo ti ha messo un cappio nuovo di pacca intorno al
collo.»
L'impiccato
abbassò la testa quel tanto che bastava per appoggiare il mento sul
petto e notare il terreno fangoso lontano dalle suole.
«Sono
morto?»
«Tu
che dici?»
«Allora
perché stiamo avendo questa conversazione?»
«Perché
sei dall'altra
parte,
e ora che hai aperto gli occhi posso finalmente tirarti giù.»
Ramirez
andò verso la cassa, aprì il coperchio e ci infilò un braccio.
Tirò fuori un revolver, lo puntò verso l'impiccato e sparò appena
sopra la sua testa, centrando la corda. L'impiccato cadde come un
sacco di patate. Le ossa delle gambe si spezzarono all'impatto e
uscirono allo scoperto squarciandogli muscoli e pelle. Urlò e
imprecò contro Ramirez, che non si scompose, rimase indifferente e
rimettendo la pistola nella cassa disse: «Tzè,
sempre la stessa scena.»
L'impiccato
perse i sensi.
«E
adesso si ricomincia.»
Le
fratture si mossero e rientrarono come animate da vita propria e
l'impiccato tornò a urlare, le ferite si rimarginarono e in poco
tempo tornò come nuovo:
«Che
cazzo significa?» disse con le lacrime agli occhi.
«Funziona
così da queste parti: qualsiasi parte del corpo tu perda o rompa,
ritorna come nuova, testa compresa. Ma il dolore lo senti come lo
sentivi da vivo, quindi, ojo.»
«Potevi
dirmelo anche senza farmi spezzare le ossa, cazzo.»
L'impiccato
sgranò gli occhi e spalancò la bocca, mostrando i suoi denti color
tabacco masticato:
«Sono
all'inferno, vero?»
«No,
amigo.
In quel libraccio ci sono scritte un sacco di fesserie. Opinione
personale, senza offesa.
Ti
dirò quello che so, e cioè che se supererai una prova dovrai
attraversare una passaggio. Avrai una nuova vita, bella o brutta non
lo so, credo che sia una scelta casuale, come un tiro di dadi. Magari
avrai una vita migliore.»
«Dai,
ritentiamo, in fondo mi sento fortunato. Perché non riprovare?»
disse l'impiccato facendo oscillare il pezzo della corda come a voler
ipnotizzare Ramirez.
Ramirez
si limitò a sorridere e disse:
«Bene,
possiamo andare, ma prima togliti quel cappio e pulisciti il culo.
Quando ti hanno appeso te la sei fatta addosso, e non voglio che la
prossima folata di vento mi ficchi un'altra zaffata nelle narici.»
«Sai,
avresti bisogno di prenderti un periodo di vacanza.»
«Lo
dico sempre anch'io.»
L'impiccato
si tolse pantaloni e mutande, si diede una ripulita col fango e un
paio di foglie cadute dalla quercia. Una volta pronto, i due si
incamminarono, percorrendo quella vasta landa desolata che si perdeva
a vista d'occhio. Il cielo aveva il colore di una prugna acerba e il
sole aveva una corona di fiamme e sembrava un'entità maligna rosso
sangue pronta a divorare quel posto.
«Ancora
non mi hai detto come ti chiami, ragazzo» disse Ramirez.
«Leonard
Franklin McRody jr.»
«In
parole povere?»
«Leo.»
«Ok,
Leo. Che ne dici di raccontarmi la tua storia? Così mi faccio
un'idea.»
«Te
la farò breve: sono nato in una fattoria a Rock Creek. Mio padre
gonfiava di botte mia madre ogni sera dopo il saloon, e se non era
troppo sbronzo da svenire in una pozza di vomito, la violentava.
Quando si stufava di lei se la prendeva con me, sia per le botte che
per il resto.
Non
avevo neanche quattordici anni quando ho deciso che era ora di
finirla; ho ucciso mio padre piantandogli l'ascia per la legna nel
cranio, ho abbandonato mia madre e sono scappato. Qualche mese dopo
sono venuto a sapere che era impazzita e che si era sparata un colpo
in testa. Amava quel figlio di puttana, nonostante tutto quello che
ci aveva fatto passare. E odiava me per averlo ammazzato. Ancora
adesso non lo capisco.»
«Posso
dirti che ne ho sentite tante da quando sono qui, e la tua non è una
delle peggiori. La vita è fatta anche di queste cose, Leo.»
«La
vita mi ha fatto diventare un bastardo. La responsabilità è solo
sua.»
2.
Camminarono
a lungo e Ramirez spiegò a Leo che l'imbrunire, in quel posto, non
esisteva. C'erano sempre il sole rosso sangue e il cielo verdognolo a
mantenere stazionaria quella dimensione eterea.
Arrivarono
davanti a una montagna dalla forma strana: un'onda di roccia che
sembrava non finire mai, con la cima che si nascondeva in una foschia
violacea, dove all'interno si intravedevano delle scariche
elettriche. La montagna brontolava come lo stomaco vuoto di un
affamato.
«Bene,
ci siamo» disse Ramirez.
«Dimmi
che non devo scalarla.»
«Devi
scalarla.»
«Mi
rifiuto.»
«Non
puoi rifiutarti, amigo.
Te
ne pentiresti. Verrebbe a trovarti qualcuno che non vorresti mai
incontrare. Non sarebbe bello, credimi.»
Leo
guardò ancora la parete:
«Cazzo,
ci metterò una vita.»
«Tranquilo.
Hai
tutta l'eternità per farcela.»
«Il
tuo accento spagnolo comincia a darmi sui nervi.»
Ramirez
sorrise e disse:
«Troverai
dei ripari sparsi sulla parete rocciosa. Così potrai riposarti e
rigenerarti nel caso fossi ferito. Il cibo non ti serve più. Qui non
si patisce la fame.»
Leo
sbuffò, imprecò e si voltò, dirigendosi verso le rocce.
«Ah,
Leo?»
«Che
vuoi ancora?»
«Vaya
con Dios!»
Leo
gli mostrò il dito medio, poi si avvicinò alla parete rocciosa e si
aggrappò a un appiglio che gli sembrava sicuro.
3.
Salì
un bel pezzo, bracciata dopo bracciata, ma anche se stava attento a
dove e come metteva mani e piedi, si scorticavano e tagliuzzavano
dappertutto, come attaccati da uno sciame di lamette.
Dopo
qualche ora Leo trovò uno dei ripari scavati nella roccia
abbastanza grande da potercisi sedere e restare al coperto.
Si
sdraiò appena fuori il riparo per prendere fiato e guardò in alto,
la foschia violacea era ancora lontana. Molto lontana.
Si
spostò sul ciglio della parete rocciosa e buttò un'occhiata giù.
Aveva
percorso un bel po' di strada, ma non abbastanza da non distinguere
più Ramirez, che intanto si era acceso un fuoco, aveva ficcato
qualcosa in un pezzo di legno e lo passava sopra le fiamme:
«Hola,
gringo! Mi
sto preparando una salsiccia. In questo mondo non esiste la fame, ma
lo sfizio te lo puoi togliere lo stesso» urlò.
«Certo
che da quella cassa ci tira fuori proprio di tutto» disse tra sé
Leo.
Si
sdraiò di nuovo e si mise tranquillo, aspettando che le ferite si
rimarginassero.
Nel
dormiveglia sentì un leggero picchiettio.
Un
paio di gocce gli caddero vicino, Leo aprì gli occhi e vide che
erano nere come inchiostro. Si alzò, uscì dal riparo e puntò gli
occhi al cielo, che si era oscurato facendo piombare quel posto nelle
tenebre. La pioggia divenne più intensa e sembrava che le nuvole
stessero scaricando petrolio.
«Pioggia
nera... mi toccherà stare qui per un bel pezzo.»
Si
accorse troppo tardi che quella pioggia aveva un brutto effetto su di
lui. Appena venne toccato iniziò a contorcersi e a urlare, sbatté
la testa, mise male un piede, scivolò e iniziò a precipitare.
Rimbalzò sulle rocce un paio di volte prima di schiantarsi al suolo.
4.
Ramirez
arrivò vicino a lui con un telo cerato. Leo era squartato
all'altezza dello stomaco, le viscere erano schizzate fuori come
conigli da una tana affumicata, sparpagliandosi qua e là nelle
vicinanze del corpo. Aprì il telo e lo coprì.
«Menomale
che su di me non fa effetto. Al massimo devo farmi un bagno.
Dev'essere molto doloroso.»
Poi
notò una parte di
budella che fuoriusciva dal telo, sollevò un lembo e la spostò con
lo stivale, come farebbe una casalinga svogliata mettendo la polvere
sotto il tappeto.
«Non
ci rimane che aspettare.»
La
pioggia nera smise di cadere, e il terreno che prima sembrava un mare
di pece tornò fangoso nel giro di pochi minuti. L'assorbì come una
spugna.
Ramirez
accese un altro fuoco, prese dalla cassa una spazzola e del lucido da
scarpe, si sedette e cominciò a pulire lo stivale sporco di sangue.
«Esta
mierda,
si fa sempre fatica a toglierla. Li avevo appena puliti dalla
pioggia.»
Quando
ebbe quasi finito di spazzolare, notò dei movimenti sotto il telo,
urla strazianti li seguirono.
«El
gringo
sta tornando.»
Leo
ne uscì fuori integro. Aveva la faccia di chi era appena precipitato
da una parete rocciosa.
«Perché
cazzo non mi hai detto di quella merda nera?»
«Lo
siento, amigo. Ma
ho delle regole da seguire, e se non lo faccio vengo punito. Ora
cerca di calmarti e siediti un po' vicino al fuoco.»
Leo
tirò un calcio a un sasso lì vicino e sputò per terra. Quando
riuscì a ritrovare il controllo diede ascolto a Ramirez e si sedette
vicino a lui.
«Prestami
quel telo.»
«Ok,
è tuo» rispose Ramirez, alzando le mani come in segno di resa.
Leo
lo prese e disse:
«Ce l'hai un
coltello, in quella cassa?»
Ramirez sorrise, si
alzò e andò alla cassa. Infilò il braccio, tirò fuori un coltello
e lo passò a Leo.
«Non hai paura che
te lo infili da qualche parte?»
«Non sarà la mia
morte a toglierti da questa situazione. Tienilo pure, se pensi che
possa esserti utile.»
Leo prese il telo e
cominciò a lavorarlo col coltello. Fece un buco in mezzo per la
testa, e dallo scarto ne ricavò un cappuccio. Una volta indossati,
prese uno spago - altra gentile concessione di Ramirez - , se lo
passò intorno alla vita e ci infilò il coltello.
Si
avvicinò alla parete di roccia e ricominciò la scalata.
5.
Passarono
un paio di mesi e la pioggia nera, fortunatamente per Leo, non cadde
più.
Raggiunse
la foschia violacea che aveva la barba lunga quanto quella di Mosè,
ci si immerse e si ritrovò in mezzo a scariche elettriche e
raffiche di vento capaci di sradicare un albero. Si aggrappò alle
rocce e tentò di proseguire. Con la coda dell'occhio intravide una
grotta non molto distante dove ripararsi. Doveva salire di un paio di
bracciate, prima di essere al sicuro. Cercò di raggiungere un
appiglio lì vicino. Le scariche elettriche lo sfiorarono un paio di
volte. Ficcò il piede in un piccolo incavo e si spinse in alto,
riuscendo ad aggrapparsi con entrambe le mani.
«Ancora
uno sforzo.»
Si
appese al ciglio della grotta, e cominciò a muovere i piedi in cerca
di qualche punto adatto a tirarsi su un'ultima volta.
Una
scarica lo centrò in pieno, Leo perse la presa e una raffica di
vento lo portò via. Sembrò come se la foschia lo avesse sputato
fuori come cibo indigesto.
Precipitò
a lungo, e la montagna lo fece a brandelli. Perse quasi tutto per
strada.
Ramirez
era sdraiato a leggere un libro. Sentì uno strano rumore, come una
grossa pietra caduta lì vicino. Aprì gli occhi e vide che si
trattava di un piede mezzo abbrustolito.
«Questa
volta ci vorrà un bel po', prima di rivederti.
6.
Nei
giorni seguenti, i pezzi di Leo sparsi sulla parete rocciosa,
cominciarono a scivolare verso il basso, andando a ricongiungersi
lentamente al piede abbrustolito.
Quando
Leo tornò integro, si sedette di nuovo vicino a Ramirez.
«Questa
volta non ho sentito praticamente niente. Né all'andata, né al
ritorno.»
«Ci
credo, sarai morto al primo impatto e quando il corpo si smembra in
quel modo, l'ultima a tornare in sede e a riformarsi è la testa,
anzi, il cervello. Non fa in tempo a concepire il dolore. Entiende?»
«Non
ho capito un bel niente, ma sarà come dici tu. Prima la pioggia
nera, e ora quella nuvola viola del cazzo, con le sue scariche
elettriche e la bufera. Non posso farcela. Nemmeno tra un milione di
anni.» Poi guardò la cassa di Ramirez.
«Ho
una domanda per te. Quanta roba hai lì dentro?»
Ramirez
si fece una sana risata, poi disse:
«No,
gringo,
in
quella cassa non c'è niente, a meno che non lo visualizzi.»
«Tipo?»
«Sta
a guardare.»
Ramirez
si alzò in piedi e si avvicinò alla cassa.
«Ora
penserò a una gallina.»
Aprì
il coperchio, infilò il braccio e tirò fuori una gallina. Leo
applaudì: «Bravo. E, dì un po', qualcosa da bere?»
Ramirez
ci pensò su, annuì e infilò di nuovo il braccio.
Tirò
fuori una bottiglia di whisky.
«Oh,
oh! Finalmente un po' di divertimento!»
«Mal
di testa assicurato, gringo.
Salud!»
disse Ramirez, che tracannò una bella sorsata e passò la bottiglia.
I
due continuarono a bere fino ad ubriacarsi. Finirono la bottiglia e
Ramirez ne pescò un'altra dalla cassa. Arrivati a metà Ramirez
biascicò qualcosa:
«Gringo,
ti posso dire una cosa?»
Leo
fece ciondolare la testa:
«Si,
certo, tutto quello che vuoi»
«Non
dovresti farlo...» disse Ramirez bloccandosi col dito indice puntato
in alto. Non aprì bocca per qualche secondo.
«Hey,
amico, sveglia.» disse Leo mollandogli uno schiaffo. Ramirez cadde
di schiena e svenne.
Leo
si alzò in piedi e barcollando si avvicinò a lui.
«Mi
spiace, amigo.»
Scambiò
i vestiti, e infilò nella cinta il coltello che gli aveva dato, si
diresse verso la cassa, vomitò in un angolo, aprì il coperchio e
urlò con tutto il fiato che aveva in gola:
«Mi
rifiuto di rimanere in questo cazzo di posto a scalare una fottuta
montagna. Mi avete sentito?»
La
terra cominciò a tremare. Leo si infilò nella cassa e abbassò il
coperchio quel tanto che bastava per poter sbirciare. Ci fu
un'esplosione simile a una miniera imbottita di tritolo che la fece
sobbalzare.
Un'altra
la seguì, ma questa volta più vicina.
Una
nebbia densa crebbe fino a impadronirsi di tutto l'ambiente. Leo non
riusciva a vedere nulla. L'ultima esplosione fu la più vicina e
violenta.
La
cassa saltò letteralmente in aria sballottandolo e facendolo
vomitare di nuovo. Quando atterrò, sembrava dovesse frantumarsi
all'impatto.
Superato
l'intontimento sollevò il coperchio per dare un'occhiata.
Davanti
si ritrovò un piede grande quanto un battello a vapore. Sollevò lo
sguardo e seguì il percorso delle gambe. Erano muscolose e si
perdevano a vista d'occhio come le vallate del Texas. I peli
sembravano grosse sbarre d'acciaio e sotto le unghie potevano starci
tutte le cento anime di Rock Creek.
La
foschia cominciò a diradarsi e quando il cielo tornò limpido, Leo
vide il resto del gigante: sarebbe stato capace di scalare quella
montagna in un attimo. Il suo cranio era ricoperto di occhi, il naso
sembrava un covone di fieno color carne e aveva denti aguzzi e
sporgenti. Raccolse Ramirez da terra e se lo mise tra i denti: lo
tritò come carne essiccata. I bulbi oculari ruotarono in tutte le
direzioni, annusò in giro un paio di volte, si voltò e se ne andò.
Quando
le vibrazioni del terreno si affievolirono, Leo uscì e diede una
rapida occhiata in giro. Sembrava tornato tutto tranquillo.
«Finalmente
non dovrò più scalare quella maledetta montagna» disse
avvicinandosi al cavallo di Ramirez. Caricò la cassa sulla lettiga,
salì in groppa al cavallo e accarezzandogli la criniera disse:
«Abbiamo
tutto quello che ci serve per sopravvivere fino a quando non
troveremo una via d'uscita, amico.»
Diede
un paio di colpetti con i talloni e si rimise in viaggio.
Girovagò
a lungo senza incontrare anima viva o trapassata che fosse. Decise di
accamparsi e riposare qualche ora. Scese da cavallo e tirò giù la
cassa.
«Ha
detto che bisogna visualizzarlo.»
Chiuse
gli occhi:
«Whisky,
del dannato whisky.»
Aprì
il coperchio e infilò il braccio. Niente.
«Forse
devo iniziare con qualcosa di più semplice. Una salsiccia. Più
facile di così...»
Chiuse
gli occhi. Infilò il braccio. Nulla.
Tentò
ancora e ancora, ma il risultato fu sempre lo stesso.
Prese
a calci la cassa e imprecò verso tutto e tutti. Quando si calmò
decise di rimettersi in marcia.
Il
tempo era così lungo e senza punti di riferimento da sembrare
congelato. L'unico compagno per due chiacchiere era il cavallo, che
non era certo uno con la lingua lunga. Sbuffava e nitriva, qualche
volta. Niente di più.
Un
ciuffo d'erba.
Non
vedeva un ciuffo d'erba da quando era sceso da quell'albero.
Un
fiore.
«Qualcosa
sta cambiando, vecchio mio» disse al cavallo.
Salì
in cima a una collina e dall'altra parte si trovò davanti a uno
scenario da giardino dell'Eden: alberi da frutto e ruscelli d'acqua,
uccelli che cinguettavano e qualche animale al pascolo.
Si
inoltrò in quel territorio col sorriso stampato in faccia.
«Ci
siamo, bello. Me lo sento. Si torna a casa.»
Si
fermò al ruscello insieme al cavallo per darsi una rinfrescata.
Quando alzò la testa notò un comignolo fumante oltre una radura. Si
mise in piedi e vide una casetta di legno con una paio di finestre e
un giardino fiorito. Legò il cavallo a un tronco d'albero, si
avvicinò con cautela e sbirciò attraverso il vetro di una finestra.
Non vide nulla. Si avvicinò alla porta, prese il coltello di Ramirez
e nascose la mano dietro la schiena. Con l'altra bussò.
«C'è
nessuno in casa?»
Quando
la porta si aprì si ritrovò davanti una bambina: aveva una treccia
bionda che le arrivava ai talloni e due occhi azzurri come il cielo
estivo. Indossava un grembiule bianco e un'ampia gonna a campana.
Stava sgranocchiando una pannocchia.
«Benvenuto,
Leo, accomodati» disse con una voce dolce e leggera.
«Come
fai a conoscermi?»
«Diciamo
che sono il datore di lavoro di Ramirez.»
Leo
indietreggiò subito di un passo:
«Non
c'entro niente. Un gigante con la testa piena di occhi è arrivato e
se lo è divorato.»
La
bambina diede un morso alla pannocchia arrostita:
«Questo
è un modo di vedere le cose. Un altro modo è che tu hai voluto
fregarlo con un paio di bottiglie di whisky e lo scambio d'abito. Poi
ti sei nascosto nella cassa e hai detto di non voler affrontare la
prova.»
Leo
tirò fuori il coltello e glielo puntò contro.
«Dimmi
la verità, pensi davvero di potermi fare qualcosa con quello
stecchino? Sai che qui niente è come sembra. La bambina che hai
davanti è solo un modo per non farti spaventare. Se dovessi
mostrarmi per quello che sono, non riusciresti a guardarmi in faccia,
né a farti uscire un fiato. Metti giù il coltello e vieni dentro.
Dobbiamo parlare.»
Leo
esitò:
«Mi
ucciderai?»
«Voglio
ricordarti che sei già morto» rispose lei; si voltò ed entrò in
casa.
Leo
si decise e la seguì. Si accomodarono a un tavolo di legno grezzo
con sopra qualche pannocchia.
«Ne
vuoi una?»
Leo
annuì. La bambina ne prese una e l'avvicinò al fuoco del caminetto.
Quando la pannocchia cominciò ad annerirsi gliela diede.
«Bruciacchiate
sono ancora più buone» disse mentre si sedeva di fronte.
«Allora,
Leo. Voglio essere chiara fin da subito. Non hai fatto una gran
furbata facendo fuori Ramirez. Dì un po', sei riuscito a tirare
fuori qualcosa dalla cassa?»
«No,
niente di niente.»
«E
il passaggio, l'hai trovato?»
«Se
sono ancora qui...» rispose Leo. Diede il primo morso alla
pannocchia, alzò lo sguardo e fece un lungo sospiro.
«Sembra
il cibo più buono che tu abbia mai mangiato, non è vero? E non si
tratta di fame, come ben sai, ma del ritrovamento di un sapore che ti
collega alla tua vita passata, per quanto brutta possa essere stata.»
Lui
non rispose e addentò di nuovo la pannocchia riempiendosi la bocca
di mais.
«Vuoi
sapere perché non hai trovato il passaggio?»
Leo
smise di masticare:
«Perché
non esiste più alcun passaggio. Lo hai distrutto tu, nel momento in
cui hai fatto fuori Ramirez.»
Leo
spalancò la bocca e del mais cadde sul tavolo, come se avesse perso
qualche dente.
«Eh
già, Leo. Ricordi cosa ti disse? - Mi basta visualizzare -. E se tu
avessi superato la prova, avrebbe visualizzato il passaggio, che poi
è la cassa stessa, saresti entrato dentro e saresti tornato nel tuo
mondo come nuovo nascituro pieno di sogni e speranze.»
Leo
rimase impalato, con la poltiglia gialla in bocca e lo sguardo
lucido.
«Ramirez
ti aveva anche avvertito. Ti aveva detto che la sua morte non ti
sarebbe servita a niente. Starai qui per sempre, Leo. Vagherai in
eterno in questo mondo.»
La
bambina schioccò le dita e Leo si ritrovò nudo e senza cavallo in
mezzo al deserto fangoso, col sole rosso sangue e il cielo color
prugna acerba. Si guardò le mani: la pannocchia era sparita e al suo
posto c'era un pezzo di corteccia. Sputò quella che aveva in bocca e
scoppiò a piangere. Cadde in ginocchio imprecando contro il mondo
intero.
Un
tuono smorzò le sue urla deliranti e gocce nere caddero davanti ai
suoi occhi.
COLONNA SONORA:
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