I tre entrarono nella stanza. Era piccola e senza finestre. C'era una sedia vicino al letto. Don Bruno si guardò in giro, e vide delle chiazze di sangue sulle pareti. Sembrava come se qualcuno avesse intriso una spugna in un secchio pieno di sangue, e l'avesse strizzata, sciabolandola contro le pareti. Poi guardò la ragazza e aprì la bocca, ma quello che voleva dire rimase intrappolato in fondo allo stomaco a grattarne le pareti nel tentativo di risalire: indossava una maglietta nera con sopra l'immagine - un tavolo sacrificale, imbrattato di sangue, con tanto di agnello sgozzato e un tizio con indosso una maschera caprina, che ne beve il sangue da un calice d'oro - di uno di quei gruppi metal col nome illeggibile, era logora e sporca di sangue, così come la gonna di pelle. Indossava degli anfibi. Il suo corpo gracile aveva un colorito funereo, con qualche macchia olivastra sparsa qua e là. Gambe e braccia, legate alle estremità del letto, erano piene di ferite e tagli profondi e il suo viso era tumefatto e sofferente. Gli occhi scavati avevano dei grumi di sangue, simili a piccoli ragnetti rossastri. Fissavano il soffitto, non curanti della loro presenza. «Hey, ragazzina. Ti abbiamo portato qualcuno per fare due chiacchere» disse Leo. I suoi bulbi oculari si mossero lentamente e si bloccarono su Don Bruno. «Uh, un prete, con tanto di abito scuro e colletto bianco. Che onore» disse la ragazza, sorridendo. Aveva una voce pesante, che sembrava essere stata passata su una grattuggia. Mostrò denti giallastri e sporchi, come se non avesse fatto altro nella sua vita che mangiare terriccio.
Don Bruno tentò di mostrarsi calmo. In realtà si sentiva come se una mazza da baseball gli avesse appena fracassato le ginocchia.
Si voltò verso Sonny: «Cosa le hai fatto, non ti vergogni?»
«Guarda che quella non è tutta opera mia, qualcosa sì, ma il resto è tutta farina del suo sacco» rispose Sonny.
«Non gli dia retta, ha tentato di violentarmi, e siccome facevo resistenza mi ha pestata per bene» disse la ragazza.
«Dì ancora un'altra cazzata e stavolta mi faccio una collana coi tuoi denti» ringhiò Sonny.
«Avanti, fatti sotto! Sarà al volta buona che te la strappo, quella faccia di cazzo che ti ritrovi» urlò la ragazza.
Sonny si stava già facendo avanti, quando Leo gli mise una mano sulla spalla e lo bloccò.
«Prete, forse è meglio se ti aspettiamo di là. Se ti sentiamo urlare, arriviamo» disse Leo.
«Mi sembra la cosa migliore» disse Don Bruno
«Non fate cazzate» disse Leo. Uscirono dalla stanza, con Sonny che bofonchiava epiteti - tanto cari a Don Bruno - all'indirizzo della ragazza.
«Ciao, sono Don Bruno. Come ti chiami, ragazzina?»
La ragazza scoppiò a piangere:
«Ester» rispose. La sua voce però, era cambiata. Era sottile, con una tonalità alta, dolce come miele appena fatto.
«La prego, mi aiuti».
«Cerca di stare calma, Ester, e raccontami cosa è successo»
«Quei due... mi hanno rapita. Ero nel giardino di casa mia che mi dondolavo su un'altalena e mi hanno catturata. Una volta arrivati al rifugio mi hanno rinchiuso qui dentro. L'altro giorno, l'uomo sfregiato tentò di violentarmi, approfittando dell'assenza del suo amico. È stato terribile» e scoppiò di nuovo in lacrime. Don Bruno si avvicinò ai piedi del letto, si guardò un attimo intorno e osservò di nuovo le pareti. Pensò a quel sangue, e alla voce della ragazza. Pensò anche a quello che gli avevano raccontato Sonny e Leo. Guardò la sedia e decise che non era ancora il momento di avvicinarsi così tanto. Ai piedi del letto andava bene, con la porta a meno di cinque passi da lui.
«Mi spiace per quello che ti è successo. Sai perché sono qui?»
«Certo che lo so. Quei due le hanno detto che sono posseduta dal demonio o cose del genere»
«E lo sei?»
«Certo che no! La mia è tutta una messinscena, padre. Posso spiegarle tutto».
«Spero che la spiegazione sia convincente, perché tra quello che mi hanno raccontato quei due, il sangue e la tua voce, direi che acqua santa, latino e bibbia, ci aspettano».
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