Jiah
indossò gli occhiali: Murano era grosso come un bue e aveva delle
mani grandi come padelle. La testa aveva le dimensioni di una palla
da basket e un collo che abbracciarlo sarebbe stato difficile.
Indossava camicia, pantaloni bianchi e un paio di bretelle nere. Si
arrotolò le maniche fin sopra gli avambracci nerboruti, prese un
mozzicone di sigaro dal taschino e lo accese, fece un paio di boccate
e gli soffiò il fumo in faccia:
«Sai
perché sono vestito di bianco?» disse Murano.
Jiah
non disse niente.
«Perché
voglio tingerlo di rosso col sangue di quel figlio di puttana che mi
ha scopato e poi ucciso la moglie. Cioè tu. Ma non ti voglio
ammazzare subito, sarà un' agonia lunga e dolorosa, puoi metterci la
mano sul fuoco. Prima di iniziare, però, voglio che mi spieghi per
bene come sono andate le cose.»
«Io
e Luane ci amavamo» disse Jiah a bassa voce. Murano rigirò il
sigaro tra i denti, poi fece un altro tiro e sbuffò come una
ciminiera:
«Cosa,
scusa? Non ho sentito» disse.
«Io
e Luane ci amavamo» disse Jiah, stavolta a voce alta.
Murano
allungò un braccio e avvolse la gola di Jiah con la mano. E strinse.
«Come
osi chiamare per nome mia moglie?» Jiah afferrò il polso di Murano
con tutte e due le mani, ma gli sembrò come tentare di spostare un
tronco d'albero. La mancanza di ossigeno creò le prime stelle. Come
ultimo tentativo gli afferrò le dita in modo da tirarle e fargli
mollare un po' la presa, ma rimasero ben salde alla gola, come zecche
all'orecchio di un cane. L'ambiente divenne un'immagine distorta e
ovattata. - Finalmente posso svenire in pace – pensò. Invece
Murano allentò la presa, L'altra mano si spostò sulla nuca e
avvicinò la testa di Jiah quel tanto che bastava per premergli il
sigaro sulla fronte. Jiah sentì come se qualcuno gli avesse ficcato
una lancia rovente nel cranio e rinsavì all'istante. Diede qualche
colpo di tosse intervallato a conati di vomito, poi scosse la testa
come per rimettere il cervello sballottato al suo posto.
«Che
cazzo ti credevi, che ti avrei lasciato schiacciare un pisolino? Vai
avanti» disse Murano. Jiah appoggiò per un secondo la mano sulla
fronte. Quando la abbassò si guardò il palmo e vide un segno
circolare, un misto di sangue e cenere, che aveva il colore di un
frutto andato a male. Bruciava da morire. Si pulì la mano sulla
canottiera e disse:
«Io
e...»
«La
signora Murano, pezzo di merda» disse Murano.
«Io
e la signora Murano,
andavamo a letto insieme, è vero. Ma non l'ho ammazzata io» disse
Jiah.
«Sai
cosa mi ha raccontato il bestione qua fuori invece?» disse Murano
«Che ti ha trovato a casa mia, che avevi le mani sporche di sangue,
e che Luane era stesa a terra davanti a te, con le mutandine
abbassate, morta strangolata. Vuoi dirgli tu che mi ha mentito? Hey,
Tonka, vieni. Jiah ti deve dire una cosa.»
Prima,
senza gli occhiali e infastidito dalla luce, Jiah non aveva ben
chiara la figura di Tonka. Vide solo una grossa massa indistinta.
Quando Tonka entrò, si rese conto del perché quello schiaffo lo
stava per mettere k.o. Era il doppio di Murano, aveva una rete
autostradale di vene che gli avvolgevano le braccia, e il petto era
simile al muso di un blindato.
«Avanti,
dì a Tonka che mi ha raccontato un mare di stronzate» disse Murano.
«Non
ho detto questo. Il suo scagnozzo mi ha trovato, è vero, ma le
ripeto che non ho ammazzato io sua moglie» disse Jiah.
Murano
diresse il suo sguardo verso Tonka e disse: «E tu cosa ne dici?»
«Dico
che l'ha fatta fuori lui, capo. E che si è anche divertito a farlo.
Ha strangolato sua moglie con le corde di una chitarra, e lui suona
la chitarra»
Murano tenne lo sguardo fisso su Jiah: «E tu suoni la chitarra. Sentito?»
«Sì, e qualcuno lo sapeva, e conosceva gli orari in cui andavo a casa di Lu... sua moglie, e mi ha inculato alla grande. Sono entrato che era già morta, e qualche minuto dopo è arrivato lui» disse Jiah indicando Tonka.
Murano tenne lo sguardo fisso su Jiah: «E tu suoni la chitarra. Sentito?»
«Sì, e qualcuno lo sapeva, e conosceva gli orari in cui andavo a casa di Lu... sua moglie, e mi ha inculato alla grande. Sono entrato che era già morta, e qualche minuto dopo è arrivato lui» disse Jiah indicando Tonka.
«Non
lo hai visto mentre lo faceva?» chiese Murano a Tonka.
«No.»
Murano
si voltò di nuovo verso Jiah e disse:
«Se
confessi avrai una morte veloce»
«Non
sono stato io» rispose Jiah.
«Lo
immaginavo. Quindi mi toccherà cavarmela da solo. Non preoccuparti,
ho un metodo tutto personale per sapere la verità. Per te ho
studiato qualcosa di speciale. Sai, io non sono come tutti gli altri
mafiosi. Soprattutto nel torturare. Sono sempre stato un tipo
eccentrico in questo, e me ne vanto. E visto che ti piace così tanto
la chitarra, ho una bella sorpresa per te. Tonka, chiama Angelo e
digli di portare la roba.»
Tonka
uscì dalla stanza e Murano rimase in silenzio, fissando Jiah negli
occhi.
«Non
c'entro nulla con quelle corde di chitarra» disse Jiah.
«Vedremo»
rispose Murano «Hey, quarto di sega, muovi quelle chiappette» urlò
poi.
Un
nano entrò di fretta. Aveva un bandana blu in testa e una barbetta
rossiccia ben curata. Le sopracciglia erano talmente folte e nere che
sembravano disegnate col carboncino. La sua espressione era quella di
chi avrebbe preferito avere la testa infilata nel culo di un cavallo
piuttosto che trovarsi lì, in quel momento. Portò a fatica una
chitarra (una Les Paul nuova di pacca) e un piccolo amplificatore. Li
appoggiò vicino a Jiah, uscì e tornò con un secchio un pacco di
carta igienica. Jiah aveva la faccia di un bambino davanti a un'
equazione di fisica quantistica. Murano si fece una risata per tutto
il tragitto del nano:
«Cazzo,
i nani mi ammazzano. Non li trovi fantastici?» disse. Il suo viso si
ricompose e tornò quello di un pitbull che ha appena ricevuto un
calcio nelle palle. «Ma veniamo a noi. Oh, ecco il bagno a cinque
stelle che avevo ordinato per te.» Il nano fece per andarsene, ma
Murano lo bloccò:
«Dove
vai, Gongolo? Resta qui.»
Il
nano sbuffò e si mise vicino a Murano, che gli appoggiò la mano
sulla testa, come un polpo su uno scoglio:
«Questo
è Angelo. Il mio nano. Sarà quello che ti accudirà nelle prossime
ore. Ti reggerà l'uccello se dovrai pisciare, e ti pulirà il culo
dopo che avrai cagato. Tutto in quel secchio. Ti darà anche da
mangiare e da bere. Sarà come una cazzo di badante»
Angelo
fece una faccia disgustata, così come Jiah. Anche se Angelo aveva da
recriminare qualcosa in più, visto che a lui era toccato il servizio
di pulizia.
«Tu
intanto dovrai fare solo una cosa. Suonare, e senza mai fermarti.
Tonka si siederà vicino alla porta, di fronte a te, e se smetterai
solo per un secondo, saranno cazzi. Cazzi che hai già provato.»
Jiah
non capì cosa volesse dire, suonava la chitarra da anni, le sue mani
erano allenate e i calli che si erano formati sulle dita erano duri
come il cuoio. Che razza di tortura era? Sorrise senza accorgersene.
Murano lo vide, ma non si scompose. Tirò fuori un biglietto dalla
tasca dei pantaloni e lo aprì.
«Sono
andato su internet, e ho fatto qualche ricerca: il Guinness dei
primati di resistenza suonando una chitarra è di un irlandese. David
Browne. Ha suonato per centoquattordici ore, sei minuti e trenta
secondi. Tzé! Un fottuto irlandese. Ci sanno fare con la musica, la
birra e i pugni, quelli. Ora, a me non frega un cazzo se batterai
questo record, ricordati comunque che lui, quando non ce la faceva
più, ha potuto fermarsi. Tu invece sarai obbligato ad andare avanti,
anche se per suonare dovessero rimanerti solo le ossa delle dita,
nude e crude. E ricordati che avrai anche un altro nemico in agguato:
il sonno. Cerca di non cedere, o Tonka ti risveglierà a suon di
pugni. Questo è quanto. Tornerò tra un po' per vedere se avrai
qualcosa da dire. Buona suonata, amico. E tu, nano, fai quello che
devi fare o tua moglie e tua figlia guarderanno le radici delle
margherite da sottoterra»
«Sei
un bastardo» disse Angelo.
«Eccome»
disse Murano.
Tonka
portò un'altra sedia e si mise dove aveva detto Murano. Jiah si era
seduto per terra a gambe incrociate e aveva collegato la chitarra
all'amplificatore. Murano se ne andò. Angelo si mise vicino a lui, e
parlò sottovoce: «Vacci tranquillo, amico. Se sei bravo, non stare
a fare magheggi con la chitarra. Suona roba lenta» Jiah annuì e il
consiglio di Angelo gli fece venire un'idea. Con la mano sinistra non
fece nulla: nessun accordo e nessuna scala, non posò nemmeno un
dito. Con la destra, invece, appoggiò il plettro su una corda e la
toccò appena, come a voler accarezzare una mosca. Lo fece tre o
quattro volte. Lentamente. Note lunghe come il lamento di una balena.
Tonka lo guardò come se gli avesse rubato il pranzo, e tirò una
sberla al muro che produsse un rumore simile allo sparo di un fucile:
«Il capo ha detto che devi suonare. Invece, quello che stai facendo,
è prendermi per il culo. Suona!»
«Almeno
ci hai provato» disse Angelo a Jiah.
Jiah
si sistemo gli occhiali sul naso col dito indice e stavolta cominciò
a suonare sul serio. Non si discostò di molto dall'idea di Angelo.
Creò melodie d'atmosfera , calde come il tè in una giornata
d'inverno, e andò avanti per ore. A un certo punto sentì il bisogno
di pisciare, e ad Angelo toccò reggerglielo e scrollarglielo, e
tutto mentre Jiah continuava a strimpellare. Tonka si gustò la scena
e scoppiò a ridere: «Non vedo l'ora che ti scappi una bella cagata,
Jiah» disse con le lacrime agli occhi.
Non
passò molto tempo, prima che Jiah cominciasse a sentire i tendini
bruciare come fili elettrici scoperti, i muscoli si irrigidirsi, e i
polpastrelli che sembravano appoggiati sulla punta di un coltello.
Disse ad Angelo che aveva fame e sete. Angelo riferì a Tonka, che
fece una telefonata. La tortura continuò, poi si sentì il motore di
un'auto. Angelo aprì la porta d'acciaio, e un tipo con la faccia
smorta e il capello impomatato gli consegnò un sacchetto. Guardò
dentro: un paio di sandwich con pollo, uova, formaggio e una
bottiglietta d'acqua. Si avvicinò a Jiah e cominciò a imboccarlo.
Approfittò del momento per parlargli:
«Come
andiamo, amico?» disse.
«Sto
per cedere. Non ne ho ancora per molto» disse Jiah.
«Ascolta,
quel cazzo di gelataio ha rapito la mia famiglia e la tiene in
ostaggio in un granaio a qualche chilometro da qui. E sai perché lo
ha fatto? Per il semplice che voleva avere un “nano domestico”.
Quello è uno dei più grandi figli di puttana che abbia mai
conosciuto. Gli piace far soffrire gli altri, umiliarli. E tu, non
pensare di cavartela con qualche ora di chitarra. Morirai, e lo sai.
Ho una proposta: io aiuto te a salvarti il culo e tu mi aiuti a
salvare la mia famiglia.»
Jiah,
annuì. Angelo gli diede l'ultimo boccone di sandwich e una sorsata
d'acqua.
«Un'ultima
cosa, sei stato tu?» disse Angelo.
«No,
non sono stato io. Qualche suo nemico deve avere fatto fuori Luane
per far ricadere la colpa su di me. Mi hanno incastrato per bene.»
Poi si guardò le dita: mentre suonava, la pelle morta dei calli era
stata segata via dalle corde, fatta eccezione per qualche piccolo
brandello, e la pelle nuova bruciava come se avesse scottato le dita
su una piastra incandescente.
«Cerca
di resistere, appena ne avremo l'occasione proveremo a fare fuori il
bestione. Un solo tentativo. Se fallisce, siamo morti» disse Angelo.
Jiah
riprese a suonare, ma in realtà non faceva altro che grattare il
plettro sulle corde mute. Aveva perso la forza nelle dita e nelle
braccia, e le gambe si addormentavano a turno, con quel fastidioso
formicolio simile a scariche elettrostatiche sottopelle.
«Angelo,
c'è una cosa che dovrei fare» disse.
«Devi
pisciare?»
Jiah
scosse la testa e disse: «Mi dispiace, ho resistito fin'ora, ma non
ce la faccio più»
«Io
il culo non te lo pulisco, bello» disse Angelo.
«Non
ce ne sarà bisogno. Mi è venuta un'idea. Ti chiedo solo di reggermi
la schiena mentre la faccio nel secchio. Al mio segnale buttati
contro Tonka e fai di tutto per fargli male.»
«Non
capisco cos'hai in mente, ma va bene.»
Jiah,
che ormai sparava qualche nota qua e là tanto per fare, si alzò.
Angelo gli slacciò i pantaloni e gli abbassò le mutande.
Tonka
rise: «Inizia lo spettacolo, signore e signori!»
«Angelo,
mutande e pantaloni, toglimeli del tutto» disse Jiah.
«Hey,
hey. Cos'è questa storia?» disse Tonka.
«Non
voglio correre il rischio di cadere e di imbrattarmi, tutto qui.»
disse Jiah.
Tonka
ci pensò un attimo:
«Ok,
forza, mezzuomo, fai quello che devi fare»
Angelo
annuì e gli sfilò pantaloni e mutande, poi prese il secchio e
glielo mise tra le gambe. Jiah si posizionò come su una turca,
Angelo si mise dietro di lui e appoggiò entrambe le mani sulla
schiena per non farlo sbilanciare.
Tonka
era in lacrime: «Oh, cazzo, sì! Questa mi farà passare una bella
giornata»
Jiah
fece roba liquida che sembrava cioccolata. Tutti quei sandwich gli
avevano fatto un brutto effetto allo stomaco. Angelo ebbe conati di
vomito per tutta la durata del servizio. Tonka era piegato in due:
«Hey, nano, vuoi una cannuccia?»
«Figlio
di puttana» disse Angelo.
«Spingimi,
Angelo. Più forte che puoi» disse Jiah.
Angelo
inarcò la schiena all'indietro e poi spinse con tutta la forza. Jiah
si ritrovò in piedi, lasciò cadere la chitarra, prese il secchio e
lo gettò in testa a Tonka prima che riuscisse ad alzarsi, e tutta la
merda e il piscio gli riempirono la faccia e gli colarono giù dal
collo, fino alle spalle. Jiah si abbassò, staccò il jack e raccolse
la chitarra brandendola dalla parte del manico, e colpì il secchio
talmente forte da romperla in due. Il manico gli rimase in mano,
mentre il corpo lo raccolse Angelo. Tonka cadde per terra svenuto.
«Colpisci,
Angelo, colpisci» urlò Jiah.
I
due si avventarono su Tonka e cominciarono a devastarlo di colpi.
Angelo, con il corpo della Les Paul messo di taglio, colpì il
secchio ripetutamente. Mentre Jiah, col manico, lo trafisse
dappertutto. Finché Tonka non si mosse più. Rimase sdraiato a terra
in un bagno di merda e sangue.
«Esci
fuori e guarda se arriva Murano» disse Jiah.
«Perché?
Cosa devi fare? Meglio scappare, no? Dobbiamo salvare mia moglie e
mia figlia»
«Sono
con l'uccello di fuori e il culo sporco. Fammi dare una pulita veloce
e fammi controllare il bestione. Magari ha qualcosa che potrebbe
esserci utile»
«Ok,
ma fai in fretta. Cazzo, che odore. Credo che abbia fatto la morte
più brutta della storia.»
«Già,
ma se l'è meritata tutta»
«Concordo
in pieno» disse Angelo, che aprì la porta e uscì dalla stanza. Si
nascose dietro un cespuglio lì vicino. Quando Jiah uscì dalla
prigione, si era rimesso pantaloni e mutande dopo una ripulita con la
carta igienica e la bottiglietta d'acqua rimasta. Si guardò intorno:
la prigione di cemento era in mezzo a una campagna sperduta. Un cubo
di cemento in mezzo al verde. Il Sole stava per tuffarsi dietro una
collina e riempì quel posto desolato con i colori caldi del
tramonto, e il profumo della primavera sostituì quello schifo che
gli aveva invaso le narici per tutto il tempo.
«Ehi,
Angelo, guarda cosa ho trovato» disse mostrandogli un revolver.
Poi
si sentì un rumore in lontananza. Si voltarono entrambi in quella
direzione e videro una macchina con i vetri oscurati.
«Cazzo,
è Murano. Sta arrivando» disse Angelo.
«Dobbiamo
farlo fuori e prendergli la macchina. Scappare non ci conviene. Io
non sono per niente in forma e comunque ci vedrebbe a chilometri di
distanza» disse Jiah.
Torna
dietro a quel cespuglio. Io entro dentro. Cerchiamo di attaccarlo da
due direzioni.
Angelo
tornò al cespuglio e Jiah nella prigione. L'auto si fermò nelle
vicinanze. Murano scese e si avviò verso la porta. Jiah l'aprì con
un calcio e uscì puntandogli la pistola contro.
«Tieni
le mani bene in vista, Murano» disse Jiah.
Murano
notò che la mano di Jiah tremava vistosamente a causa della
maratona, mostrò un ghigno e disse:
«Non
ci penso proprio» La sua mano andò fulminea dietro la schiena per
prendere la pistola. Jiah sparò un colpo e lo prese a una spalla.
Murano ruggì come un leone e fece un passo indietro appoggiandosi
alla portiera della macchina.
Angelo
schizzò fuori dal cespuglio, saltò sul cofano e infine sulla sua
testa. Gli coprì gli occhi con le mani, cercando di ficcarci le
dita. Murano cominciò ad agitarsi, alzò la pistola e sparò in aria
un paio di volte nel tentativo di colpirlo.
«Che
cazzo stai aspettando, Jiah? Spara» fece Angelo.
Jiah
sparò tre colpi, e sul vestito bianco di Murano sbocciarono tre rose
di sangue. Si mise in ginocchio e cadde faccia a terra. Angelo saltò
un attimo prima. Jiah si avvicinò, mise la punta della scarpa sotto
la spalla di Murano e lo girò. Era ancora vivo e ansimava come un
pesce fuori dall'acqua:
«Vi
ammazzo, figli di puttana» disse mentre tossiva sangue.
«Vai
a rompere i coglioni all'inferno, gelataio del cazzo» disse Angelo,
che gli assestò un calcio in faccia con la suola della scarpa. Il
naso di Murano fece il rumore simile alla rottura di un guscio di
noce, poi gli uscirono un paio di bolle di sangue dalla bocca e morì.
«Era
ora. Andiamo a liberare mia moglie e mia figlia» disse Angelo. Jiah
annuì, prese la pistola di Murano e buttò l'altra, ormai scarica.
Salirono in macchina e partirono.
Durante
il viaggio, Angelo disse a Jiah che Murano aveva messo un bestione
grande e grosso quanto Tonka a guardia del granaio.
«Anche
se ci vede arrivare non sospetterà mai che siamo noi. Penserà che
Murano sia tornato da quelle parti per dare una controllata. Abbiamo
la fortuna di avere i vetri oscurati. Ci avviciniamo, abbassi il
finestrino e lo fai fuori»
«Semplice
e veloce» disse Jiah.
«Esatto»
disse Angelo.
Fecero
qualche chilometro e scorsero il granaio in lontananza. Lo scagnozzo
di Murano era proprio davanti al grosso portone di legno e, come
aveva previsto Angelo, quando vide la macchina non sfoderò la
pistola. Jiah si fermò proprio davanti a lui. Prese il revolver e
non abbassò il finestrino fino a quando l'energumeno non si fosse
avvicinato abbastanza da centrarlo senza difficoltà; lo crivellò di
colpi.
L'energumeno
cadde a terra come un sacco di patate e morì in una nuvola di
polvere.
«È
fatta» disse Angelo.
«Non
ancora» disse Jiah, che puntò la canna della pistola verso di lui.
«Che
cazzo fai?»
«Un
po' mi spiace, Angelo. Davvero. Solo che la mia natura non mi
permette di mettere niente e nessuno tra me e le mie prede» disse
Jiah.
«Allora
sei stato tu. Hai fatto fuori la moglie di Murano»
«Perspicace,
ma non abbastanza»
«Sei
un bastardo, ti ho salvato il culo, dovresti essermene grato»
«Dove
sta scritto?»
«Lascia
stare la mia famiglia, ti prego»
«Assolutamente
no. Te l'ho detto, è la mia natura»
«Spero
che quando andrai all'inferno troverai Murano ad attenderti, e che ti
faccia la festa che ti meriti, bastardo!»
«Staremo
a vedere. Per ora sarai tu a fargli un po' di compagnia»
Jiah
gli sparò in mezzo agli occhi, il bandana volò via e mostrò un
aggrovigliamento di capelli simili a un castoro investito da un
trattore. Il finestrino dietro la testa di Angelo si chiazzò di
rosso e frammenti di materia celebrale gli schizzarono contro.
«Brutta
pettinatura, amico. Mi fai sentire orgoglioso della mia pelata»
disse Jiah, che poi scese dall'auto e gettò la pistola. Rovistò
nella tasca dei pantaloni e tirò fuori le corde della chitarra che
aveva preso nella prigione di cemento. Le avvolse un paio di volte
attorno alle mani e diede un paio di strattoni.
«Non
c'è niente di meglio» disse. E si avviò verso il granaio.
«C'è
qualcuno? Abbiamo sentito degli spari» disse una voce femminile
all'interno del granaio.
«È
tutto a posto. Mi ha mandato Angelo per aiutarvi» rispose Jiah. La
Luna piena era comparsa in cielo e l'aria era fresca e pulita, con un
leggero sentore di fieno. Jiah aprì il portone, che scricchiolò
come le assi di una vecchia nave pirata, entrò e passò tutta la
notte -a modo suo- con la famiglia di Angelo.
COLONNA SONORA:
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Auguri di Buon Natale!
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