Quel
giorno, Henry Monroe si godeva una passeggiata sulla spiaggia.
Indossava una t-shirt dei Primus e dei jeans risvoltati fin sopra le
caviglie. Nessuna presenza, a parte un paio di granchi che se la
spassavano sul bagnasciuga. Il sole, di un bel arancione acceso,
sembrava inzuppato per metà nel mare caldo della sera. La brezza gli
accarezzava i capelli color cenere e la voce del mare sembrava quella
di una madre amorevole. Henry si soffermò ad ammirare le evoluzioni
di un gabbiano in cerca di cibo: qualche volteggio, poi scese in
picchiata, ed entrò in acqua a gran velocità. Schizzò fuori con un
pesce nel becco allontanandosi fino a diventare una piccola “v”
che si sciolse nel sole. Henry sorrise e continuò la sua
passeggiata. A un tratto intravide la sagoma di un uomo di colore,
nero come inchiostro di seppia, che seduto sulla sabbia armeggiava
con qualcosa di luccicante. Avvicinatosi i dettagli si fecero più
nitidi: il tizio indossava un gessato grigio e una camicia color
perla. L'uomo vide Henry e gli fece un gesto di saluto:
«Hey,
amico, avvicinati» disse.
Quei bagliori provenivano da una valigetta in alluminio, simile a
quelle che si vedono nei film di spionaggio:
«Dannazione
a queste cerniere. Scusa, amico. Devono essere difettose. Hai
qualcosa per provare ad aprirle?»
«Dipende.
La valigetta ti appartiene?»
«Stai
tranquillo, non l'ho mica rubata. Senti, ho della birra ghiacciata.
Qui, in questa borsa frigo.» Si voltò, ne pescò una e la offrì a
Henry. «Avevo deciso di festeggiare da solo, ma il destino ha voluto
donarmi qualcuno con cui condividere questo momento.» Henry, alla
vista della brina sul vetro della bottiglia, schioccò la lingua,
accettò la birra e strinse la mano all'uomo: «Henry Monroe,
piacere.»
«Dottor
Martin Donovan. Piacere mio, signor Monroe.» Henry
prese l'accendino dalla tasca e fece saltare il tappo. Buttò giù un
bel sorso: frizzante e rinfrescante al punto giusto. «Ci voleva,
eh?» disse Martin. «Eh, sì. Mi sembrava di avere la gola rivestita
di sabbia» rispose Henry.
«Ora
me la dai una mano?»
«Ah,
scusa, quasi dimenticavo...» Henry infilò le mani nelle tasche e
cominciò a frugare. Estraendo poi un coltellino svizzero multiuso:
«Oh, perfetto» disse Martin. Henry si sedette vicino a lui, prese
la valigetta, tirò fuori la lama dal coltellino e cominciò a
lavorare sulle cerniere.
«Posso
farti una domanda?» disse Henry.
«Cosa
contiene?» rispose sorridendo Martin.
«Esatto»
Martin
si voltò a scrutare l'orizzonte. Un sipario blu con qualche punto di
luce stava per fagocitare il sole, divenuto una striscia di lava:
«...Sai,
ho lavorato tutta la vita per il contenuto di quella valigetta, e
finalmente ce l'ho fatta» disse. Henry smise di maltrattare la
valigetta e alzò la testa: «Ce l'hai fatta a fare cosa?» chiese.
«Non
voglio rovinarti la sorpresa» disse Martin.
Henry
aggrottò la fronte e si rimise al lavoro.
La
cerniera scattò facendo un rumore metallico:
«Ok,
e una ha ceduto» disse Henry, «Be', Martin, se ci hai lavorato
tutta la vita, devi avere roba davvero forte, qui dentro» continuò.
«Roba
fortissima, Henry,» rispose Martin «come entrare in un'altra
dimensione»
«Non
si tratta di droga, vero?»
«Cosa?
No, no. Figurati»
«Non
voglio guai!»
«Ti
ho appena detto di stare tranquillo»
«Ok;
voglio crederti.» Henry bevve un altro sorso di birra e si rimise al
lavoro.
Anche
l'altra cerniera scattò:
«E
due» disse.
«Bene.
Ora passamela, per favore»
Martin
la prese e l'aprì: della spugna grigia proteggeva due fiale con del
liquido all'interno, uno di colore verde e l'altro blu. Le tirò
fuori con delicatezza dicendo:
«Ok,
Henry. La fiala verde ha un effetto temporaneo, direi sulle dodici
ore. Questa, invece,» continuò Martin mostrandogli l'altra «be',
questa dura per sempre... Voglio farti un regalo. Prendi questa»
disse passandogli la verde. Poi si alzò e cominciò a spogliarsi.
Henry rimase interdetto: «Che diavolo stai facendo?»
Martin
si tolse la giacca e mentre sbottonava la camicia disse: «Dove sto
andando non mi servono vestiti». Finì di spogliarsi e tolse il
tappo alla fialetta blu.
«Se
berrai la tua, avrai una nottata spettacolare»
«Non
credo che berrò questo intruglio, Martin»
«Sta
a te decidere. Un consiglio, se sceglierai di bere, non spingerti al
largo. Potrebbe essere pericoloso.»
«Ok»
disse Henry, che dall'espressione sembrava avere appena visto passare
un elefante in bikini.
«Bene,
ora devo andare. Addio, Henry» disse Martin, che si avvicinò e gli
strinse la mano. Henry non rispose. Sembrava una statua di cera.
Martin si diresse verso il mare e ci entrò fino alle ginocchia,
bevve quindi il liquido blu, gettando poi la fiala vuota. Cominciò a
nuotare e, dopo qualche bracciata, si immerse. L'acqua iniziò a
ribollire e Martin riaffiorò agitandosi in modo inconsulto e urlando
come un ossesso. Henry, preso dal panico, lo chiamò due, tre volte,
ma l'acqua non fece neanche una crespatura. Si
alzò di scatto e corse verso
la riva urlando il suo nome. Si
tuffò e mulinò le braccia nel tentativo di raggiungerlo. A metà
strada, Martin, riemerse facendo un gran salto. Henry si fermò,
sorpreso dal balzo. Lo seguì con lo sguardo: la pelle lucida come
una palla da bowling, le braccia fuse ai fianchi e le gambe
trasformate in una coda. Il muso allungato e la voce somigliante al
guaito di un cane con una zampa spezzata. Martin ricadde in acqua, e
tornò la calma.
«Ma
che cazzo...» disse tra sè Henry, attonito.
Riemerse
un delfino nero. Si avvicinò a Henry, gli girò intorno un paio di
volte e lo toccò col muso.
«Oh,
porca puttana... Martin ... un delfino» disse Henry con
l'espressione di un pesce palla. Il delfino fece un verso simile a
una risatina e se ne andò. Henry tornò a riva sconvolto e si
sedette vicino alla valigetta. Prese la fiala verde e ci pensò su.
Fissò il mare scolandosi una birra e pensando a Martin, poi disse:
«Sai che ti dico, Martin? Fanculo, ci provo» aprì la fiala e ne
bevve il contenuto. Si alzò, si svestì e si diresse verso l'acqua.
Una volta dentro, il cuore iniziò a battergli all'impazzata e le
ossa presero a fargli un male del diavolo. Qualcosa gli stava
crescendo ai lati del collo, toccandosi, sentì che si trattava di
branchie. Aveva il respiro come quello di un asmatico e un desiderio
irrefrenabile di immergersi. Andò giù e l'acqua divenne la sua
aria. Si guardò le mani, le dita si fusero, si appiattirono, e
diventarono delle pinne. Cominciò a rimpicciolirsi. Gli organi e le
ossa cambiarono forma. Gli venne un gran mal di testa, più forte di
quello di un risveglio post sbornia. Sembrava che quella parte del
corpo dovesse esplodergli da un momento all'altro. Dopo tutto quel
dolore e quel movimento, ne rimase solo un pesce, con striature blu e
gialle sui fianchi e una boccuccia che aperta aveva le dimensioni di
una fede nuziale. Decise di muoversi e schizzò come un proiettile.
In preda all'euforia, piroettò con cambi di direzione improvvisi,
scivolò tra le alghe e osservò dei granchi che passeggiavano sul
fondo sabbioso. Nel frattempo il sole aveva lasciato spazio alla luna
piena. I raggi argentei penetravano la superficie dell'acqua: un
banco di tonni li attraversò: le scaglie riflettevano la luce,
creando tanti piccoli flash. Henry si avvicinò a delle rocce. Un
polpo si accorse della sua presenza e lo guardò minaccioso con i
suoi globi carnosi. Spruzzò dell'inchiostro e tutto si fece buio.
Henry, non sapendo cosa fare, si mise a nuotare a caso, cercando una
via d'uscita in quella nube nera come il petrolio, che sembrava
espandersi come l'universo. Quando se ne tirò fuori, si accorse di
trovarsi al largo, dove Martin gli aveva raccomandato di non andare.
Il motivo per quella raccomandazione gli si palesò subito davanti.
Una sagoma nera arrivò dal nulla, grande quanto una barca a remi.
L'ombra si voltò e mostrò un sorriso simile a un set di coltelli.
Lo squalo lo guardò con occhi gelidi e si mosse per raggiungerlo.
Henry si guardò intorno, scorse il banco di tonni e gli venne
un'idea. Nuotò più in fretta possibile dirigendosi verso di loro,
evitando per un pelo un paio di attacchi. Una volta davanti ai tonni
virò di novanta gradi e le attenzioni dello squalo si spostarono
verso una preda più succulenta. Henry arrivò esausto vicino alla
riva. Tirò fuori il muso dal pelo dell'acqua. La notte aveva ceduto
il posto a un cielo diurno, sgombro di nuvole, con il sole tornato
una palla di fuoco. Il suo cuore riprese a battere come un martello
pneumatico, e le sue lische fremere come scosse da un terremoto.
Stava tornando umano. Per Henry fu un'esperienza che, per quanto
rischiosa, gli avrebbe fatto ringraziare Martin per tutta la vita. Di
certo non lo avrebbe raccontato a nessuno. Non ci crederebbe lui
stesso. Non gli rimaneva che tornarsene a casa e tenersi questo
segreto per il resto dei suoi giorni, ma un'ombra schizzò sopra la
sua testa. Henry non fece in tempo a immergersi di nuovo che venne
trascinato fuori dall'acqua da una morsa intenta a fargli esplodere
le viscere. Vide la spiaggia allontanarsi, fino a diventare una
miniatura.
Dopo
aver sorvolato la scogliera, fu catapultato dentro a un nido, dove
garrivano tre piccoli gabbiani. Sentì il dolore acuto del becco
della madre che gli squarciava la pelle e capì di essere diventato
il loro pasto.
Colonna sonora:
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3 commenti:
Geniale, conciso, veloce, chiaro.
Veramente bello!
Lord
Grazie Francesca :)
Se ti va passa sul mio blog: http://ginocentofante.blogspot.it/
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