Horror Polidori vol.2
Jingle bloody bells
E tra qualche giorno uscirà su Amazon un mio racconto su una raccolta della Nero press edizioni.
Deep love 2
Che potrete acquistare direttamente dal sito della casa editrice :)
Vado avanti senza sosta. Se qualcuno di voi leggera i miei racconti mi faccia sapere che ne pensa.
Saluti.
Vito.
sabato 13 febbraio 2016
domenica 21 dicembre 2014
Frattaglie di Natale 2
E come l'anno scorso ho partecipato a Schegge per un Natale horror indetto da Letteratura horror. Su 5 ne hanno accettati due che troverete presto in una raccolta e-book. Il vincitore (su 80 schegge) verrà proclamato il 23. Posto qui quelli scartati e vi auguro buone feste e buon Natale.
L'ammiraglio Garreni
Natale a caccia
L'ammiraglio Garreni
La Black Santa
avanza tra le lastre di ghiaccio immersa da una coltre simile a
sabbia di vetro.
Garreni scruta la
distesa artica, scuote il cappello d'ammiraglio imbiancato dalla neve
e pensa a suo padre. Avrebbe voluto essere con lui, al caldo, a
festeggiare il Natale bevendo vino, e non a navigare il quel deserto
bianco a caccia del suo assassino.
Uno scossone,
Garreni scivola sul ponte viscido, si aggrappa a una cima, sente le
mani bruciare, lacerarsi, digrigna i denti, si ferma prima di cadere
fuori dalla prua. Un fetore di pesce marcio impesta l'aria. Tentacoli
enormi e pezzi di ghiaccio schizzano fuori dall'acqua, in alto, a
oscurare la nave, e si schiantano come alberi abbattuti e coltelli
affilati. Squarciano
le vele, smembrano uomini.
«Kraken»,
urla un mozzo.
Garreni
si rialza e afferra un arpione.
«Ti
ho trovato, bastardo.»
Si
sporge dalla balaustra, vede affiorare l'occhio del mostro, la
pupilla grande e nera come una palla di cannone.
«Vendetta»,
urla, e si lancia all'attacco.
Natale alla finestra
Loris conficcò la
carota nel volto del pupazzo per il naso e gli mise un cilindro in
testa.
«Manca
la sciarpa. Intanto, buon Natale!»
Un
rumore simile a un tuono. Alzò lo sguardo al cielo plumbeo e vide un
meteorite squarciarlo, schiantarsi in lontananza, dietro le montagne.
Corse a chiudersi in casa e osservò dalla finestra. Spalancò la
bocca. Un'ondata di nebbia rossa invase la città, si insinuò tra
gli edifici, come vino rovesciato su un presepe.
Sgranò
gli occhi. Il pupazzo si mosse e strisciò fuori dal giardino: il
corpo colore del sangue, artigli e fauci al posto di ramoscelli
secchi e sorriso di sassi.
Attaccò
un uomo, gli straziò il ventre, lo divorò e si avvolse le budella
intorno al collo. Ruttò come un vecchio ubriacone, poi si girò
verso la casa.
Mentre
si avvicinava, timidi raggi di sole filtrarono tra le nubi. Iniziò a
sciogliersi come un gelato, il cilindro sghembo, il naso come un
cazzo moscio.
Loris
pregò con tutto se stesso che quelle nuvole si diradassero, e in
fretta.
Natale a caccia
«Schiaccia
sull'acceleratore, cazzo! Abbiamo solo questa notte per prendere quei
bastardi. Ascia o bastone?» disse Bruno.
«Direi
bastone. Il cassone inizia a puzzare» rispose Lucio.
Parcheggiarono.
Scesero armati di roncole e corde.
Entrarono
a casa di Bruno, salirono le scale. Un gemito. Sfondarono la porta,
la moglie a pecorina e uno gnomo che si dava un gran da fare. Gli
fecero saltare i denti e anche qualche costola. Lo portarono fuori,
lo caricarono sul furgone e ripartirono.
«Nessuno
di voi piccoletti là dietro ci darà più problemi» disse Lucio.
Gli
gnomi ancora vivi mugolavano, accatastati come sacchi di patate
insieme ai cadaveri dei loro compagni.
Babbo Natale tornò a casa dalla
nottata passata a portare doni. Passò dalla fabbrica di giocattoli
per salutare gli gnomi, ma non trovò nessuno. Andò sul retro, al
grande abete. Strabuzzò gli occhi, le gambe cedettero, cadde in
ginocchio.
Gli
gnomi impiccati e pezzi di braccia, gambe, interiora ciondolanti dai
rami come macabri addobbi.
A casa della strega
Matteo tira calci e pugni contro il vetro, senza scalfirlo.
Ha scoperto che le streghe esistono, ma non vivono negli antri delle fiabe, non usano code di rospo per fare pozioni. Sono donne all'apparenza normali, che vivono in case normali, e aspettano i bambini fuori dalle scuole per offrire loro cioccolatini magici prima delle feste.
Si guarda intorno. Festoni appesi alle pareti, luci intermittenti, l'albero, gli altri prigionieri rinchiusi nelle palle di Natale.
Preso dal terrore si muove da una parte all'altra, la sfera oscilla, si sfila, precipita, si frantuma a terra. Le gambe si spezzano, sputa sangue dalla bocca. La strega si avvicina, grande quanto un grattacielo.
«Dove credi di andare?» dice con voce acidula.
Matteo perde i sensi, rassegnato a tornare ciondolante su un ramo.
Apre gli occhi, si rende conto che avrebbe preferito morire sul colpo quando vede il batticarne sollevato, e che le streghe qualcosa in comune con le fiabe ce l'hanno: la più terribile.
«Pronto per la cena?»
Splat!
Ha scoperto che le streghe esistono, ma non vivono negli antri delle fiabe, non usano code di rospo per fare pozioni. Sono donne all'apparenza normali, che vivono in case normali, e aspettano i bambini fuori dalle scuole per offrire loro cioccolatini magici prima delle feste.
Si guarda intorno. Festoni appesi alle pareti, luci intermittenti, l'albero, gli altri prigionieri rinchiusi nelle palle di Natale.
Preso dal terrore si muove da una parte all'altra, la sfera oscilla, si sfila, precipita, si frantuma a terra. Le gambe si spezzano, sputa sangue dalla bocca. La strega si avvicina, grande quanto un grattacielo.
«Dove credi di andare?» dice con voce acidula.
Matteo perde i sensi, rassegnato a tornare ciondolante su un ramo.
Apre gli occhi, si rende conto che avrebbe preferito morire sul colpo quando vede il batticarne sollevato, e che le streghe qualcosa in comune con le fiabe ce l'hanno: la più terribile.
«Pronto per la cena?»
Splat!
mercoledì 3 dicembre 2014
Halloween all'italiana
Sono stato selezionato per una raccolta di racconti di Letterartura horror:" Halloween all'italiana". E-book per la modica cifra di 3€. Non mi viene in tasca nulla, quindi fate pure come vi pare. :)
http://letteraturahorror.it/64-halloween-all-italiana-2014/1826-halloween-all-italiana-2014-100-racconti-per-un-antologia-da-paura.html
Saluti!
http://letteraturahorror.it/64-halloween-all-italiana-2014/1826-halloween-all-italiana-2014-100-racconti-per-un-antologia-da-paura.html
Saluti!
domenica 30 novembre 2014
Non perdere la testa.
Questo racconto l'ho usato per il premio scheletri. Non ne sono molto soddisfatto, so di poter fare meglio. Comunque è stato inserito nella raccolta dei migliori. L'anno prossimo si vedrà :)
Apro
gli occhi, mi ritrovo su un palco, di fronte a una folla urlante.
«Uccidetelo!
Fate fuori quel bastardo!»
Scuoto
la testa.
«Chi
siete?»
Sembrano
non ascoltare, incitano la morte pugni al cielo.
Provo
a ricordare. I pensieri come invasi da una nebbia sulfurea.
Guardo
ancora quella gente e mi accorgo che i loro sguardi inferociti non
sono diretti a me. Vanno oltre, dietro le mie spalle.
Mi
volto, strabuzzo gli occhi. La lama della ghigliottina sollevata da
un energumeno incappucciato. Un uomo nudo, inginocchiato, le mani
legate dietro la schiena, il collo in un incavo tra due assi di
legno. Piange e urla bestemmie.
Il
boia molla la corda. La lama precipita, un taglio netto, come una
spada affilata che apre in due un melone. La testa cade nella cesta,
ballonzola, quando si ferma gli occhi si muovono ancora. Lo sguardo
spaesato si arresta.
Mi
fissa.
Inorridisco,
indietreggio, con un piede sbatto contro qualcosa, mi giro, un altro
canestro di vimini, e la mia, di testa, pallida, con un'espressione
di terrore.
La
folla lancia ortaggi guasti e uova marce. Non mi colpiscono,
attraversano il corpo come se fossi fatto d'aria. Guardo le mani.
Diafane. Eteree.
Dunque
riserva questo la morte. Nient'altro che uno spirito che vaga senza
memoria.
Le
assi si squarciano sotto i miei piedi. Le ghigliottine, il boia, le
persone, tutto ovattato, sbiadito. Inghiottito.
La
voragine continua ad aprirsi, scivolo, ma nel cadere riesco ad
aggrapparmi al bordo del dirupo.
Dalle
viscere della terra arrivano implorazioni di voci tormentate. Mani
demoniache si allungano, mi afferrano le caviglie, tirano verso il
basso, e mentre precipito nel ventre dell'inferno i ricordi
riaffiorano.
Marie.
Il vicolo buio, io che le strappavo le vesti mentre supplicava di non
farlo.
La
violentai, le tagliai la gola con un rasoio.
E
fu bellissimo.
martedì 21 ottobre 2014
Doppietta!
Ragazzi sono proprio contento. Sono stato selezionato per il premio polidori e per Esecrandia.
Qui trovate il cartaceo di Esecrandia con tanto di illustrazioni :)
http://www.esescifi.com/ese_catalogo_dett-32040-ESECRANDA_2014
Qui la selezione del Polidori.
http://nerocafe.net/news/premio-polidori-2014-selezione-finalisti-6/
Con tanto di contrattino. Coi ricavi credo di non arrivare a pagarmi una birra. Comunque sono soddisfazioni :)
Saluti!
Happy Zombie by MonsterWhacker on deviantART
Qui trovate il cartaceo di Esecrandia con tanto di illustrazioni :)
http://www.esescifi.com/ese_catalogo_dett-32040-ESECRANDA_2014
Qui la selezione del Polidori.
http://nerocafe.net/news/premio-polidori-2014-selezione-finalisti-6/
Con tanto di contrattino. Coi ricavi credo di non arrivare a pagarmi una birra. Comunque sono soddisfazioni :)
Saluti!
Happy Zombie by MonsterWhacker on deviantART
giovedì 5 giugno 2014
Secondo al concorso "La serra trema"
Sono arrivato secondo al contest letterario " La serra trema" :)
http://letteraturahorror.it/59-la-serra-trema/1558-la-serra-trema-svelati-i-vincitori.html
http://letteraturahorror.it/59-la-serra-trema/1558-la-serra-trema-svelati-i-vincitori.html
martedì 13 maggio 2014
Jukebox Inferno.
Colui che non può contare su alcuna
musica dentro di sé, e non si lascia intenerire dall'armonia
concorde di suoni dolcemente modulati, è pronto al tradimento, agli
inganni e alla rapina: i moti dell'animo suo sono oscuri come la
notte, e i suoi affetti tenebrosi come l'Erebo. Nessuno fidi mai in
un uomo simile.
William
Shakespeare, Il mercante di Venezia.
Un getto di fumo
scuro esce da una crepa sull'asfalto, fluttua a mezz'aria, si sposta
sotto la luce dei lampioni come uno sciame di falene. La città ha il
moto brulicante del sabato sera. I clacson delle macchine in coda al
semaforo, il baluginio dei televisori dietro le finestre, l'aria
intrisa di smog.
Un ragazzo in jeans
e giubbotto di pelle cammina sul marciapiede. Un accenno di barba gli
sporca il viso, capelli neri raccolti in una coda. Si ferma e guarda
per un attimo il cielo notturno mentre si accende una sigaretta: la
luna è simile a un baffo bianco e ricurvo, le nuvole matasse
sfilacciate trasportate dal vento. Infila le mani nelle tasche,
riprende il cammino.
L'entità lo
insegue. Le persone non lo notano, indifferenti come un contadino
mentre tira il collo a una gallina. Il ragazzo attraversa la strada
con passo svelto, l'insegna al neon dell'hotel sfarfalla e lo
illumina come se scattasse delle diapositive rosso sangue. Butta la
cicca in un tombino ed entra.
Qualche poltrona e
un tavolinetto con sopra delle riviste di moda.
A sinistra un
bancone di legno con sopra un computer. Delle dita ossute battono
sulla tastiera.
Il receptionist,
magro come uno stecco di gelato, sposta lo sguardo dallo schermo, gli
sorride.
«Ciao,
Leo. Ti sta aspettando» dice.
Leo
non si ferma, annuisce e mentre attraversa l'atrio fa un gesto di
saluto. Trova l'ascensore aperto. Entra.
Il
fumo si assottiglia, si spalma sul pavimento come un'ombra fugace.
Staccato
il dito dalla pulsantiera, Leo
si volta verso lo specchio e vede riflessa la nube cinerea che filtra
all'interno mentre le porte si chiudono.
La canzone in
diffusione è di Bobby McFerrin.
Here’s a little
song i wrote,
you might want to sing it note for note,
don’t worry, be happy.
you might want to sing it note for note,
don’t worry, be happy.
Si addossa alla
parete, spalanca la bocca. L'entità s'insinua dentro come un
serpente di vapore e gli rigetta l'urlo in gola.
Aint got no place
to lay your head,
somebody came and took your bed,
don’t worry, be happy.
somebody came and took your bed,
don’t worry, be happy.
Il
corpo sussulta, gli occhi si girano e le pupille lasciano il posto al
bianco invaso dai capillari ramificati.
L'ascensore
arriva al sesto piano, e quando le porte si aprono, Leo ha uno
sguardo diverso, tagliente. Maligno.
Esce
con un ghigno stampato in faccia.
«Andiamo
a spassarcela.»
Le
porte si richiudono alle sue spalle, la canzone si allontana, viene
trascinata verso il basso, come inghiottita nelle viscere
dell'Inferno.
Don’t
worry, be happy now…
Percorre il
corridoio. Pareti verde acido. Cammina sulla moquette castagna,
osserva i numeri sulle porte. Incrocia una donna di colore in
sovrappeso che trascina il carrello delle pulizie. Indossa guanti di
gomma e ha un paio di stracci infilati nel grembiule blu.
«Hey,
schiava. Dov'è la camera duecentotre?» chiede il posseduto.
La
donna rimane interdetta, come se l'avessero appena svegliata da
un'ipnosi.
Lui
sbuffa.
«Due,
zero, tre. Capisci? Sai contare?»
La
donna arriccia la faccia carnosa, come se avesse chiuso un pugno.
«Come
ti permetti, ragazzino! Impara le buone maniere» risponde.
Il
ragazzo scuote la testa e sgrana gli occhi.
«Come ti permetti, negra?» ringhia.
«Come ti permetti, negra?» ringhia.
Avanza verso la
donna con due passi ampi, veloci, e le molla un destro in faccia. Lei
crolla, rovescia il carrello. Rimane a terra priva di sensi.
Panni sporchi in faccia.
«Ringrazia
il cielo che ho altro da fare. Ai miei tempi, certe cose finivano
molto peggio di una carezza. Avrei già consegnato la tua testa ai
maiali.»
Le
sputa addosso e si allontana.
Trova
la stanza. Si piazza davanti alla porta, sfila l'elastico dai capelli
e risistema la coda. Bussa.
Apre
una ragazza. La pelle chiara si confonde con la seta della vestaglia.
S'intravedono
mutande e reggiseno di pizzo. I capelli biondi raccolti in uno
chignon. Qualche ciocca, sfuggita alla presa, scende verso il basso e
le accarezza il collo sottile.
«Era
ora, Leo» dice. La voce dolce come vaniglia.
«Appropriarsi
dei ricordi degli altri ha i suoi vantaggi.»
«Come?»
«Niente,
niente. Salve, splendore.»
La
ragazza lo prende per la giacca e lo strascina a sé. Lo bacia e lo
porta in camera.
Lo
stereo è acceso. La voce di Mike Patton, in Evidence, nuota nel
brodo caldo prodotto dal groove di basso e batteria.
If
you want to open the hole
Just put your head down and go.
Just put your head down and go.
Si
spogliano. Si buttano sul letto. Fanno sesso. La ragazza geme di
piacere, anche se gli fa notare di essere più ruvido del solito.
«E
non hai ancora visto niente, donna.»
Leo
la tartassa di pugni in faccia, alle costole, la prende a morsi. La
stupra. Sanguinante e stremata dalle violenze, la ragazza sviene. Le
mani avvinghiate al collo stringono con ferocia, le mozzano il fiato
fino a quando smette di dimenarsi. Un braccio scivola e cade inerte
dal bordo del letto.
Ne
abusa ancora, per tutta la notte.
Anything
you say, we know you're guilty
Hands above your head, you won't even feel me.
Hands above your head, you won't even feel me.
Il
giorno dopo esce dalla stanza mentre si sistema la zip dei pantaloni,
cammina verso l'ascensore.
Le
porte si aprono. Si trova di fronte la donna di colore. Ha un cerotto
sull'occhio, gonfio come una pallina da ping-pong.
«Bu!»
urla Leo.
L'inserviente
salta come su un tappeto elastico, urla e scappa. Lui scoppia in una
grassa risata.
Arrivato
al piano terra, si avvia all'uscita.
«Com'è
andata?» chiede il receptionist.
Il
posseduto sorride.
«Arretrati
da recuperare» risponde.
«Come
ti capisco. Piacerebbe anche a me trovare una sventola del genere, mi
accontenterei anche di una carina. Facciamo una qualsiasi
rappresentante dell'altro sesso.»
«Be',
almeno ti rendi conto di valere quanto uno zoccolo d'asino. Mangia
qualche piatto di zuppa in più. Sarebbe un buon punto di partenza.»
Il
receptionist fa una smorfia, allunga il collo magro come se qualcuno
gli tirasse la testa dall'alto.
«Leo,
non mi hai mai parlato così. Che ti prende?»
«Mi
prende che delle tue sconfitte amorose non me ne frega un bel niente.
Anzi sai che ti dico? Che per me sei una donna allegra, solo che
ancora non te ne sei accorto.»
«Non
sono gay.»
«Gay?
Vi chiamate così, adesso? Non importa, fate schifo uguale.»
Il
receptionist mette le mani sui fianchi. Gli occhi umidi e le labbra
tremule.
«Non
sarai più ben accetto in questo hotel» urla con la voce da strega.
«Lo
vedi? È
la tua reazione che parla per te. Ti sembra una voce da uomo,
quella?»
«È
la mia voce, non l'ho scelta io. Adesso vattene!»
«Buttami
fuori, laccio di scarpa.»
Il
receptionist si ammutolisce.
Leo
si avvicina al bancone, lo scavalca. Si mette faccia a faccia.
«Avanti,
combatti da uomo.»
Gli
molla un manrovescio.
«Coraggio,
dammi un pugno, cazzo. Fa qualcosa.»
Il
receptionist si piega, si rannicchia come un cane bastonato, piange.
Leo
lo guarda con disprezzo, lo schiaffeggia ancora, lo butta a terra e
gli molla un paio di calci al costato.
«Mi
fai vomitare.»
Uscito
dall'hotel si dirige al parcheggio, gira tra le macchine, tira
qualche maniglia, guarda che non ci sia nessuno in giro e con una
gomitata rompe il finestrino di una vecchia Fiat. Si mette al posto
di guida e lavora con i fili dietro al blocchetto dell'accensione.
Mette in moto.
«A
quanto pare ci sapevi fare, Leo. Buon per me. Io rubavo cavalli,
questa roba ai miei tempi non c'era.»
Si
mette in strada.
La
quiete della domenica mattina. Strade semi deserte, il sole pallido,
la gente che si sveglia all'ora di pranzo.
Accende
lo stereo. Il cd di Justin Beaber parte a tutto volume con Confident.
That’s
right. I think she foreign.
Think she foreign, got passports.
Mi amor started slow, got faster.
Think she foreign, got passports.
Mi amor started slow, got faster.
Schiaccia
i pulsanti dello stereo, non trova quello per l'espulsione, lo prende
a pugni.
She
gon’ work some more, work some more.
No stopping her now, no stopping her now.
No stopping her now, no stopping her now.
Riesce
a fare uscire il cd.
«Questa
è sterco, di quello fumante.»
Lo
prende e lo butta fuori dal finestrino rotto.
Apre
il cruscotto.
«Vediamo
se c'è qualcosa di decente.»
Non
trova niente, così mette la radio e la sintonizza su una stazione
rock.
Led
Zeppelin.
Black
dog parla dell'amore in tutt'altro modo: sesso e rock'n'roll.
Hey,
hey mama, said, the way you move
Gon' make you sweat, gon' make you groove...
Gon' make you sweat, gon' make you groove...
«Be',
niente male, non c'è che dire.»
Schiaccia
l'acceleratore e si allontana.
Guida
senza una destinazione precisa. Fuma una sigaretta mentre tamburella
le dita sul volante.
Passa
vicino a un parco. Parcheggia e attraversa la strada.
Erbaccia
alta, panchine arrugginite.
Un
laghetto artificiale che sembra una pozzanghera maleodorante dove al
posto di anatre e pesci galleggiano cartacce e buste di plastica.
Si
siede, si guarda intorno.
Per
terra nota una pagina di giornale mezza accartocciata con la foto di
Barack Obama.
«Presidente
degli Stati Uniti»
legge.
«Certo
che il mondo è diventato proprio una latrina.»
Si
sdraia. Senza accorgersene, chiude gli occhi e si addormenta.
Si
sveglia nel tardo pomeriggio. Si alza in piedi. La bocca impastata.
Mentre
si stiracchia, una donna percorre il sentiero sterrato che attraversa
il parco. Rosso fuoco sulle labbra, capelli biondi. Gonna corta,
calze a rete. Una borsetta piccola quanto un portafogli.
«Hey,
sei una sgualdrina?» chiede lui con la voce assonnata.
La
donna si ferma e sorride.
«Sgualdrina
non lo diceva neanche mio nonno» risponde.
«Quindi?
Lo sei?»
«Di
certo non sono una suora. Stavo giusto andando al lavoro. Vuoi farti
una sveltina?»
«Mi
hai letto nel pensiero.»
«Hai
i soldi?»
Leo
rovista nelle tasche, trova cento euro nel portafogli.
«Altro
che sveltina, possiamo tirarla un po' per le lunghe, se vuoi.»
«Non
credo riusciresti a resistere molto.»
La
prostituta ride.
«Uno
stallone da monta, che fortuna! Andiamo dietro a quel cespuglio,
Siffredi. Tanto non passa mai nessuno da qui.»
Leo
sbadiglia e la segue.
Una
volta dietro agli arbusti, un urlo soffocato, le foglie si muovono
come sotto una scossa di terremoto. Quando finisce, una gamba della
donna spunta dalle fronde.
Leo
esce, si dà qualche pacca sui vestiti e si pulisce da qualche
ramoscello rimasto attaccato.
Vede
la gamba, le dà un calcio e la rispedisce nel cespuglio.
«Che
ti avevo detto?»
Torna
in macchina e dopo qualche chilometro nota una luce e del fumo sul
lato della strada. Si avvicina.
«Un
chiosco. Bene, finalmente si mangia.»
Parcheggia
nelle vicinanze e scende dall'auto.
All'interno,
un uomo si dà da fare con una paletta. Madido di sudore e col
grembiule insozzato di grasso e salse, sposta peperoni e cipolle
sfrigolanti sulla piastra arroventata. Odore di carne alla griglia.
Una radiolina accesa alle sue spalle trasmette i Daft Punk. Lose
yourself to dance. Il magico groove del funk.
Leo
si avvicina.
«Che
buon profumo.»
L'uomo
alza la testa e sorride.
«I
panini migliori della città.»
«Davvero?
Bene. Fammene uno con tutto quello che hai lì.»
«Siamo
affamati, eh?»
«Non
mangio da secoli. Dammi anche una birra.»
L'uomo
prepara il panino. La farcitura trabocca come se volesse scappare
dall'essere divorata. Glielo passa insieme alla birra.
«Sembra
buono. Ora devo andare, ci vediamo» dice Leo, e si avvia alla
macchina.
L'uomo
cambia espressione. Il colore del viso, già rosso per il caldo,
sembra diventare incandescente.
«Pezzo
di merda, dammi i soldi!»
Leo
si ferma, si volta e dà un morso al panino.
«Perché,
se no che succede?» dice con la bocca piena.
«Pagami
subito o chiamo i carabinieri.»
Leo
sorride. Mette la roba in macchina e torna da lui.
You
take my shirt and just go ahead and wipe up all the
Sweat, sweat, sweat.
Sweat, sweat, sweat.
Lo
pesta a sangue. Lo rapina, e oltre ai soldi porta via una confezione
di birra da sei. Si accende una sigaretta, prende dei tovaglioli e
avvicina la fiamma dell'accendino.
Torna
in macchina e si allontana mentre guarda il fuoco che divora il
chiosco dallo specchietto retrovisore. Una sagoma avvolta dalle
fiamme scappa fuori dall'incendio, cade per terra, rotola, urla. Leo
schiaccia il clacson come una trombetta da stadio e si allontana.
Gira
un po', osserva la città dal finestrino mentre si gusta il panino. I
negozi chiudono, i locali notturni aprono.
Non
percorre molta strada prima di trovare una discoteca. Accosta al
marciapiede, la fila di ragazzi davanti a un buttafuori. Ragazze con
abiti che potrebbero vestire un neonato. Pelle lucida e trucco
pesante.
Mangia
l'ultimo boccone e trangugia la birra.
Scende
e si dirige all'ingresso. Cassa ritmica e suoni distorti si gonfiano
fino a diventare assordanti. Keith Flint riempie l'atmosfera acida
dei The Prodigy con la voce lamentosa e schizofrenica.
Come
play my game I'll test ya
Psycho-somatic addict insane.
Psycho-somatic addict insane.
Leo
passa davanti alla fila e si piazza davanti al buttafuori. Sembra un
gorilla con un vestito troppo stretto.
«Cosa
devo fare per entrare, bestione?» chiede.
Qualcuno
mugola, un ragazzo, da dietro, gli tocca la spalla.
«Zio,
vedi di rispettare la fila.»
Leo
si volta. Il ragazzo ha un vestito elegante dai colori sgargianti, la
testa piena di brillantina e le scarpe lucide.
«Per
non finire dal segaossa, dovresti fare due cose. Non chiamarmi zio, e
vestirti in modo che non mi faccia male agli occhi, ragazzino»
risponde.
«Ragazzino?
Sarai più piccolo di me. Stai facendo lo stronzo?»
Leo
sembra non aver sentito, si gira e si rimette a parlare col
buttafuori.
«Visto?
Colpa dei genitori se crescono così.»
«Torna
in fila, ha ragione lui.»
«Cos'è,
vi siete messi d'accordo? Non fatemi incazzare, voglio solo entrare
in questo cagatoio e divertirmi un po'.»
«Hai
sentito cos'ha detto? Torna in fila o sei nella merda» intima il
ragazzo.
Leo
si gira di scatto e alza il braccio per tirargli un destro, ma la
mano rimane bloccata all'altezza della spalla, come una palla avvolta
in un guanto da baseball. Prova a muoverla, ma è stretta in una
morsa. Si volta. Il buttafuori lo guarda dall'alto con lo sguardo di
uno che ha perso la pazienza.
«Torna
in fila o vattene, non lo ripeto.»
«Ok,
ok, come vuoi, me ne vado.»
La
tenaglia di carne si apre, Leo si allontana in silenzio mentre scuote
la mano indolenzita nel tentativo di far circolare il sangue.
«Bravo,
vattene a casa» urla il ragazzo. La folla lo segue e tutti gli
inveiscono contro.
Sale
in macchina e mette in moto.
La
stazione rock trasmette i Pantera, ora.
La
chitarra di Dimebag Darrell arriva da lontano, come un bullo pronto a
schiaffeggiarti, l'inizio potente di Cowboys from hell, la voce di
Phil Anselmo che vomita rabbia.
Showdown,
shootout,
spread fear within, without
spread fear within, without
We’re
gonna take what’s ours to have .
Arriva
in fondo alla strada e fa inversione. Mette in folle. Prende il
cartone di birre e scende dall'auto. Si accovaccia, con una mano
tiene schiacciata la frizione e con l'altra appoggia le birre
sull'acceleratore. La macchina sembra urlare.
Ingrana
la prima e con un gesto rapido lascia la frizione e si sposta.
Le
gomme stridono e fumano. Urla che si aggiungono a urla. Parte.
You
see us comin’
And you all together run for cover
We’re takin over this town.
And you all together run for cover
We’re takin over this town.
Sembra
mangiarsi l'asfalto mentre sfreccia verso la discoteca. Travolge le
persone in fila come sparata da un cannone. Il ragazzo col vestito
sgargiante sembra un manichino: vola per diversi metri e si schianta
al suolo come un meteorite. Quelli che non rimangono feriti scappano
come blatte dal fuoco.
La
Fiat centra il buttafuori col muso, lui rimane incastrato, privo di
sensi, col busto riverso sul cofano. Lo trascina oltre una siepe e
finisce la corsa contro un muro. L'uomo vomita sangue sul parabrezza.
La testa sbatte sulla lamiera, i tergicristalli si attivano e gli
arbusti incastrati grattano il vetro e stridono come posate sfregate
sulla porcellana.
Leo
si è gustato la scena fino alla fine. Sorride, come se avesse
assistito a uno spettacolo di fuochi d'artificio.
«Ho
sprecato sei birre, ma ne è valsa la pena.»
Corre
via e s'infila in un vicolo. Si allontana finché non sente più le
sirene.
Rallenta
per prendere fiato.
Un
ragazzo esce da un portone con un casco in mano, si avvicina a un
motorino incatenato al palo.
Leo
si ferma, fa finta di guardare la vetrina di un negozio. Appena il
ragazzo apre il lucchetto gli si avventa contro, gli sfila il casco
dalle mani e lo colpisce in testa una, due, tre volte, finché non
rimane disteso a terra. Gli prende le chiavi, inforca il motorino.
«Sei
uno stronzo» urla il ragazzo.
«E
tu sei debole. Ti ho fatto il culo e mi prendo ciò che è tuo. Se
non sai difenderti sono affari tuoi. Ci vediamo, femminuccia.»
Accelera
e lascia dietro di sé una nuvola che puzza di olio bruciato.
Arriva
al Marvin's pub, butta il motorino per terra ed entra.
La
luce paglierina imbratta il verde fulgido dell'Irlanda sulle sciarpe
appese alle pareti. Una cornice raffigura un tucano appollaiato su
una banderuola, con una Guinness appoggiata sul becco.
«Ciao,
Leo» dice il barista.
Leo
guarda in giro. Ci sono due energumeni e un ragazzo con i capelli
lunghi. Sa chi sono: Ale, Nico e Franchino. Lo salutano. Annuisce.
«Fammi
una birra, Andrea» dice.
«Ci
siamo svegliati con il manuale della gentilezza in mano? Chiedi per
favore e aspetta il tuo turno.»
«Per
favore, mi faresti una fottuta birra?»
Andrea
mostra il dito medio.
«Certo,
con molto piacere, magari ti aggiungo uno sputo mentre guardi da
un'altra parte.»
«Lascialo
perdere Andrea. Avrà avuto una giornata di merda» dice Franchino.
Indossa
la maglietta di una band Metal dal nome illeggibile, come se gli
avessero lanciato contro il petto uno straccio imbevuto di succo di
pomodoro.
Andrea
annuisce e sbuffa.
«Allora
dovrei essere incazzato tutti i giorni.»
Spina
le birre per Ale e Nico. I due sono immersi in una discussione
rugbistica.
«Ti
dico che se non fosse stato per il ginocchio sarei in nazionale»
dice Ale.
«Incredibile
come questa scusa valga per tutti gli sport. Hai mai pensato, magari,
di non essere all'altezza?» ironizza Nico.
Andrea
scoppia a ridere.
Prepara
la birra a Leo e gliela porge.
«Tutto
a posto? Mi sembri strano, oggi.»
«Fatti
gli affaracci tuoi. Voglio solo bere.»
«Lo
prendo come un no. Ti lascio in pace a sbronzarti. Vedi di non
vomitare sul pavimento e nemmeno di pisciare fuori dalla turca. E con
fuori intendo sul muro.»
Torna
ai rugbisti.
«Riguardo
a voi due, vi ho visto giocare. Siete grossi come due furgoni, ma
senza ruote. Ben piantati nel terreno.»
Ale
sbuffa e fa un gesto con la mano come per togliere una ragnatela
davanti alla faccia.
«Dai,
non te la prendere. Ha ragione, facevamo schifo a giocare» dice
Nico.
«Non
facevo schifo. Almeno, non quanto te. Potrei ancora mettere un orso
pancia all'aria, per quanto mi riguarda.»
«Ah,
sì? Pensa, proprio stamattina ho accartocciato un distributore di
bibite e ne ho bevuto il contenuto. Ero senza moneta e avevo sete.»
Dopo
uno sguardo di sfida mal recitato, ridono e brindano.
Leo
inizia a farsi male da subito. Continua con un Campari col bianco,
che diventano cinque, alternati da qualche Guinness, senza proferire
parola, come se nella vita avesse usato la bocca solo per bere.
Ogni
tanto qualcuno prova a dirgli qualcosa, ma lui risponde sempre con
grugniti e insulti.
Dopo
un amaro, barcolla fino alla sedia più vicina e si lascia cadere.
Passa
un'ora. Ha la testa crollata sul tavolo, le braccia inerti lungo i
fianchi, la bava addensata tra la guancia e il legno.
Franchino
sorseggia una bionda mentre cammina da una parte all'altra del pub.
Si ferma e solleva lo sguardo verso la cassa appesa a un angolo del
soffitto. Ne esce un assolo di chitarra tagliente, grintoso, con le
palle. La batteria sincopata che viaggia come un treno. Jorgensen dei
Ministry vomita parole come preso da un raptus incontrollabile.
Every
time I stick my finger on in ya
You're a wild wild little town bitch.
You're a wild wild little town bitch.
«Allora?
Se vuoi ascoltiamo tutta la discografia» dice Andrea.
Franchino
appoggia la birra su un tavolo, si volta, scosta i capelli corvini
dal volto.
«Ministry?»
chiede.
«Ok,
ci sei quasi» risponde Andrea mentre serve le pinte.
«L'album
è Psalm69.»
«Guarda
che ti frega come al solito» dice Ale.
«Già,
ci becca sempre» conclude Nico.
Andrea
mette le mani sui fianchi.
«Prima
o poi dovrà sbagliare, e quando lo farà organizzerò una festa con
alcol, che qui non manca, belle donne e magari qualche cannone, che
non guasta. E lui non sarà invitato.»
Franchino
fa una risata piratesca, si scola i tre quarti di birra rimasti
in un'unica, rumorosa sorsata. Rutta.
«Organizzerai
quella festa quando ti toccherà indossare pannolini per non
imbrattarti di merda e l'uccello non somiglierà a un calzino usato.
Il titolo del pezzo è Jesus build my hotrod, e mi devi una birra.»
«Io
non eccello per eleganza, ma tu sei una bestia che scoreggia dalla
bocca, ragazzo mio. Comunque, la birra te la sei meritata.»
«Che
ti frega delle buone maniere, siamo tra noi. Vero, Leo?» chiede
Franchino.
Leo
non risponde. Alza le palpebre per un attimo. I bulbi oculari
iniettati di sangue.
«Visto?
Lui non ha problemi. E poi qui non succede mai niente.»
Andrea
ha gli occhi sgranati e indica la vetrata alle spalle dei suoi amici.
Si voltano.
«E
questa, che roba è?» domanda Franchino.
«Non
ne ho idea, mai visto niente del genere» risponde Andrea.
Una
nebbia rossa invade la strada. Le macchine spariscono in lingue
porpora e la luce dei lampioni viene ingoiata da sbuffi rosso rubino.
Un odore di uova marce impesta l'aria.
Leo
scatta in piedi, come se gli avessero iniettato una siringa di
adrenalina.
«Mi
ha trovato.»
Il
lettore cd è in random. La playlist è già sul tocco di Steve Ray
Vaughan in Cold shot. Masturba la chitarra e l'accompagna con voce
calda.
Once was a sweet
thing, baby
Held that love in our hands.
Held that love in our hands.
Corre
in bagno, niente finestre. Torna indietro, arriva al bancone. La
porta si apre. Entra un uomo vestito con un completo scuro, si toglie
il cappello a tesa larga e saluta con un cenno del capo. Capelli
impomatati, occhi color ghiaccio, naso adunco e labbra sottili.
«Buona
sera. Un tempo strano, lì fuori» dice.
«Ne
sa qualcosa?» chiede Andrea.
L'uomo
sorride.
«Ti
dispiace se ci diamo del tu?»
«Nessun
problema, amico.»
«Per
rispondere alla tua domanda, sì, ne so qualcosa. Mi fai una birra,
intanto?»
Leo
si sposta e torna a sedersi senza farsi notare. Mette la testa sul
tavolo e finge di dormire.
«Sarò
breve. Il mio nome è Mezhel, e sto cercando una persona. Si chiama
Jack Busterfield, e so che è qui tra voi, ne sento l'odore.»
Andrea
appoggia la birra sul bancone.
«Non
credo di aver capito.»
Mezhel
sorride.
«Sono
un cacciatore di anime fuggitive. Questo signore se l'è svignata
dall'Inferno, e io sono venuto a riportarlo indietro. Ecco cosa mi ha
portato da queste parti. Il problema è che quando riescono a
fuggire, non hanno più un corpo fisico, quindi entrano in qualche
malcapitato e si mescolano tra gli umani.»
A
tutti scappa un risolino. Ale quasi sputa la birra, mentre Nico
scuote la testa.
«E
cosa avrebbe fatto questo Jack, di tanto grave da finire
all'Inferno?»
«Diciamo
che è uno che ama le donne a modo suo.»
«Non
mi sembra un gran peccato.»
Mezhel
prende la birra e beve. Due sorsate, metà pinta. La rimette sul
bancone e sospira. Inizia a camminare. I tacchi degli stivali che
battono sul pavimento.
«Non
lo sarebbe se si trattasse di amore canonico. Lui le violentava, le
picchiava, le uccideva, le violentava dopo morte. Era anche razzista
e alcolizzato. Insomma, uno di talento. Aveva uno scantinato dove
portava gli schiavi...»
«Schiavi?»
«A
quei tempi la gente di colore era trattata come animali da soma, o da
compagnia, non so se mi spiego. In Texas, in quel periodo, potevano
farci quello che gli pareva con gli schiavi. Lui era uno di questi.
Portava quelli che secondo lui sgarravano nello scantinato. In mezzo
alla stanza c'era un ceppo, un set di coltelli e una scure. Più era
grave quello che avevano combinato, più pesante era la mutilazione.
Un giorno tagliò l'uccello a uno perché gli aveva fatto trovare la
cena fredda.»
L'assolo
di Vaughan si riempie di tocchi, di scale, di cuore. Gli stacchi
secchi con la batteria.
«Che
bastardo» dice Franchino.
«Puoi
dirlo forte. E non dubito che abbia continuato le sue scorribande
anche qui.»
«Sai
che c'è? Che non credo a una parola di quello che hai detto. Arrivi
qui che sembri il figurante di Lee Van Cleef, parli di Inferno e di
anime fuggitive di serial killer vissuti ai tempi dello schiavismo.
Io dico che spari cazzate e che sei venuto per prenderci per i
fondelli. Avrai qualche mini telecamera nascosta da qualche parte in
quel vestito di merda. Oppure, dopo aver fatto quel bell'effetto
speciale fuori dal locale, un tuo compare si è nascosto in quel fumo
rosso a filmare tutto.»
Mezhel
scatta, gli stivali sembrano un metronomo impazzito. Gli si piazza
davanti. Gli occhi sembrano immersi nell'azoto liquido.
«Hai
capito bene, bello. O sei fuori di testa oppure ci stai prendendo in
giro. E non sfidarmi con quello sguardo. Sono piccolo, ma ho rotto
culi più grossi del tuo, intesi?» dice Franchino.
«Adesso
che ci penso, potresti essere tu.»
Gli
afferra la testa con una mano, stringe e lo solleva da terra.
Franchino urla. Ale e Nico scattano per aiutarlo. L'uomo si volta e
spalanca la bocca. Una lingua biforcuta frusta l'aria. Loro si
bloccano, sbiancano in viso.
«Oppure
voi» sibila.
Le
casse sputano Iron Maiden, ora. Be quick or be dead.
L'acuto
inconfondibile di Bruce Dickinson.
Covered
in sinners and dripping with guilt
Making
you money from slime and from filth.
La
testa di Franchino va in frantumi, gli occhi schizzano fuori dalle
orbite, e quando Mezhel molla la presa, cade floscio come un cappotto
usato.
Artigli
affilati come lame di porcellana crescono sulle sue dita. Si sposta
come un'ombra, silenzioso come un soffio. Ale digrigna i denti,
quattro solchi si materializzano sul petto. Si accascia a terra,
mentre la maglietta si chiazza di rosso. Nico prende uno sgabello. Lo
agita come un randello e cerca di colpirlo, ma riesce solo a spostare
l'aria. Un tonfo. Lo sgabello cade a terra, le mani lo stringono
ancora con forza, nonostante siano mozzate all'altezza dei polsi.
Cade in ginocchio, urla, mentre il sangue sgorga
dai moncherini.
Mezhel gli compare
alle spalle, l'artiglio sulla gola che si apre come una bocca
sdentata.
«No,
tu non sei Jack.»
Ale
si è rimesso in piedi, carica a testa bassa mentre ringhia come un
cane rabbioso.
Il
demone si sposta. Gli artigli veloci come una frustata. È la testa
di Ale a fare il tonfo, ora. Rotola e sbatte contro il bancone. Il
corpo continua la sua corsa e si schianta contro il muro.
Mezhel
scoppia in una risata.
«Questa
è da sganasciarsi, sembrava una gallina.»
Andrea
è impietrito. Non muove un muscolo, farfuglia qualche parola
incomprensibile tra le lacrime.
Il
cacciatore di anime fuggitive si avvicina, lecca il sangue dalle
lame, prende la pinta e finisce la birra.
L'affiatamento
di Gers e Murray che si alternano negli assoli, mentre la batteria
dritta e decisa di Nicko McBrain li accompagna.
«Bene.
Siete rimasti in due. Tu e l'ubriacone. Quindi, se sei Jack
Busterfield, ti consiglio di dirmelo, così torniamo a divertirci con
gli altri dannati. Non farmi sprecare tempo.»
«Ti
giuro che non c'entro niente» piagnucola Andrea.
Mezhel
finisce la birra. Gli occhi cambiano in viola ciclamino e la fronte
si costella di vene rigonfie.
Andrea
prende una pinta, la frantuma contro la parete e se l'avvicina alla
gola. Mentre tenta invano di resistere, il vetro lacera la carne e
inizia a penetrare.
«Parla»
ringhia il demone.
Andrea
urla, non riesce a fermarsi. Si piscia nei pantaloni.
Mezhel
ride.
«Ok,
basta così. Andiamo, Jack» dice. Gli occhi tornano chiari come
acqua limpida. Andrea lascia cadere la bottiglia.
Leo/Jack,
è in piedi. Per la prima volta il suo sguardo cede. Il male che
viene sconfitto da un male più grande.
«Sapevo
fin dall'inizio che eri tu. Volevo solo divertirmi un po'. Come hai
detto a quello del motorino, sei debole, e mi prendo ciò che è tuo»
dice Mezhel.
Andrea
ha la bocca spalancata, e guarda Jack come se avesse davanti un cane
con tre teste.
«Stiamo
parlando dell'Inferno. Se ci sono finito non è certo perché ho un
cuore d'oro. E non c'è vita, per quanto preziosa, che non
sacrificherei per non tornare in quel posto.»
Andrea
è come paralizzato, l'unica cosa che si muove è il sangue che cola
dal collo.
Mezhel
tira fuori una fiaschetta argentata dalla tasca interna della giacca,
toglie il tappo e la punta verso Jack. Del fumo gli esce dalle
narici, dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi, si agglomera in una
sagoma nera, vaporosa. Fluttua verso di lui, mentre il corpo di Leo
crolla a terra come una marionetta senza padrone.
«È
ora di andare» dice il demone. Jack Busterfield viene risucchiato
come sporcizia da un aspirapolvere. Chiude la fiaschetta e la ripone
nella tasca. Si avvicina alla porta, si volta. La lingua biforcuta
esce per una frazione di secondo, tremula e sibilante.
«Ti
risparmio per la birra. Ne avevo bisogno, da dove vengo fa un caldo
tremendo. Saluti» dice, e ridacchia.
S'immerge
nella foschia rossa. La nebbia si dirada e lascia il posto alla luna
a falce e al vento fresco.
Andrea
è immobile in quel mattatoio. Si guarda in giro come affetto da
nistagmo. Stringe i pugni, trema. Ha un sussulto. Un urlo che sembra
infinito, mentre Johnny Cash canta con voce dolente e profonda.
I
fell into a ring of fire
I
went down, down, down
And the flames went higher.
And the flames went higher.
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