mercoledì 25 aprile 2012

Frankie goes to...

Frankie era un assassino. Uno dei più spietati. Le sue vittime preferite erano giovani ventenni bionde e ben formate. Adorava le tette grandi, quelle con i capezzoli grossi come mignoli, da strappare coi denti. E adorava affondare il suo taglierino nella loro gola e solcarla da orecchio a orecchio. Un getto di sangue caldo che lo avrebbe corroborato ed eccitato, facendoglielo diventare duro. Una volta morte le girava e le prendeva da dietro. Stava attento a uscire prima e a venire su un fazzoletto di stoffa che si portava da casa. Sempre lo stesso, che lavava e rilavava. Una volta finito buttava i cadaveri nel fiume, quando le piogge torrenziali improvvise scaricavano tonnellate d'acqua e gli argini si riempivano fino quasi a traboccare. Era piuttosto pericoloso, ma a Frankie piaceva. Quando gettava dentro le sue vittime le vedeva schizzare via come proiettili. L'acqua sembrava un nastro trasportatore impazzito, alle volte i corpi si incastravano nelle radici di qualche albero sradicato dalla furia degli elementi e si disintegravano contro qualche grossa roccia, sparpagliando legno e membra. Il fango farà il resto, pensò. Tutto sembrò andare alla grande, e Frankie non riusciva proprio a darsi una calmata, anzi. Più ne ammazzava, più ne voleva. Era ingordo di sangue, sesso e morte. Fino a quando non scoprirono un cadavere incastrato tra due rocce, vicino alla riva del fiume, con lo sciabordio dell'acqua che faceva ondeggiare quel corpo rigonfio come un canotto sgonfiato. Un altro lo ritrovarono sul ciglio di una strada. Un contadino che passava da quelle parti notò due gambe che spuntavano da un cespuglio. La polizia capì subito che la mano che aveva ucciso le due ragazze era la stessa e le collegò alle altre scomparse i mesi addietro. Cominciò una caccia all'uomo. I giornalisti diedero subito un nomignolo a Frankie: "Lo sventratore del fiume". Quando Frankie lo lesse sul giornale locale si sentì fiero di se stesso. Quelli coi nomignoli sono i più tosti. Vuol dire che avevano paura di lui. E lui si nutriva di paura.
Capì che doveva cambiare strategia, così diminuì la frequenza degli omicidi. Era dura, più dura dell'astinenza da eroina. Ma doveva farlo. Decise di non gettare più i cadaveri qua e là come uno sprovveduto. Li avrebbe messi tutti in una grossa fossa comune, sempre in riva al fiume. Non voleva snaturare del tutto le sue consuetudini.
Passarono sei mesi e la polizia brancolava nel buio. La fossa funzionava e le bionde si accatastavano una dopo l'altra. In paese scattò il coprifuoco, ma i mostri agiscono anche alla luce del Sole, se messi alle strette. Frankie di giorno era un postino. La mattina presto, col suo Pick-up, si recava alle poste in paese, prendeva la macchina di servizio e  cominciava la distribuzione. Era così che le sceglieva, le sue amichette. Era conosciuto come un bravo ragazzo, che non metteva la posta nella casella delle lettere, ma la consegnava a mano, direttamente al proprietario. In realtà, quando gli aprivano la porta, sbirciava dentro, in cerca di qualche biondina tutta curve con cui giocare. Alcuni lo invitavano abitualmente a entrare in casa per un caffè. Alla fine dell'ultimo turno incontrò Jasmine. Che spettacolo. Tette grosse e sode e una folta chioma bionda che le accarezzava le spalle. Quando le consegnò la bolletta della luce fremeva e sudava freddo. Lei sorrise e lo ringraziò, lui voleva estrarre il taglierino e lavorarla come meritava. Anche se era un grosso rischio, non poteva farsela scappare. A causa del coprifuoco era in astinenza da un bel po'. Non potè resistere. Le chiese un bicchiere d'acqua. Jasmine si voltò e si diresse in cucina. Frankie sentì tremare le gambe, guardando quel culo marmoreo e ondeggiante e invitante. Le mutande si riempirono e la sua adrenalina esplose. Afferrò la gola della ragazza con entrambe le mani e cominciò a stringere, fino a farla svenire. Caricò Jasmine in macchina, stando attento a non essere visto, e tornò al Pick-up, dove caricò il corpo e se lo portò via. Era una bella serata. L'aria era fresca e le stelle cominciavano ad affiorare dal rosso sbiadito del tramonto. Come un bracere che affievolisce, lasciando il posto al buio. La Luna si alzò piena e luminosa. Frankie passò dal capanno degli attrezzi a prendere una pala e una corda. Poi entrò in casa, superò con lunghe falcate i cartoni di pizza e calciò via qualche avanzo sparso sul pavimento, raccolse un paio tra le decine di lattine di birra schiacciate e le agitò cercando un sorso, come un assetato nel deserto. Neanche una goccia.Tutte scolate. Salì le scale ed entrò in camera da letto, prese il fazzoletto di stoffa pulito dal comodino e se lo mise in tasca. Una volta fuori legò e imbavagliò la ragazza  e si diresse verso la riva del fiume. Giunto a destinazione la tirò giù dal cassone, la slegò e cominciò a schiaffeggiarla. Jasmine si svegliò e il terrore si impadronì di lei.
«Chi sei?» chiese con la voce tremolante.
Frankie allargò le gambe e tirò fuori il taglierino, lo alzò verso il cielo, facendo brillare la sua lama sotto la luce della Luna e disse con voce solenne: «Sono lo sventratore del fiume! Fa effetto vero? L'ho studiata venendo qui. Ora giochiamo, bellezza.»
Frankie la lavorò per bene, come al suo solito. All'inizio, preso dalla frenesia, la tagliuzzò dove capitava, troppo tempo senza far niente, poi si concentrò su quei bei meloni e decise di non fermarsi ai capezzoli. Allungò la lama del taglierino e sezionò i suoi seni con cura. Li leccò e si appoggiò quei morbidi cuscini di carne sulle guance, prima di buttarli. Poi le fece sorridere al gola, la girò e dopo qualche minuto tirò fuori il fazzoletto di stoffa. 
Restò seduto per qualche minuto, stremato e in pace con se stesso. Lo avrebbe rifatto altre mille volte. Caricò il cadavere (tette comprese) di nuovo sul Pick-up e si spostò di un paio di chilometri, dove si trovava la fossa comune. Scaricò il corpo e prese la pala. Cominciò a scavare. Ruggiti lontani e lampi simili a flash fotografici minacciavano pioggia. Fortunatamente la terra umida gli alleggeriva il lavoro. Non dovette scavare molto a lungo prima di vedere riaffiorare la testa di Colette. La decomposizione le aveva scarnificato parte della bocca e un pugno vermi brulicava sulla lingua. Gli occhi erano cavità piene di terra. Frankie sorrise, portò la mano alla bocca e le spedì un bacio.
«Ah, se ci siamo divertiti...» disse, e ficcò la pala nella terra, ma non riuscì a proseguire.
Si accorse che continuava a cozzare contro i resti delle altre ragazze, così decise di allargare la fossa. Domani ne avrebbe scavata una nuova, più grande. Così da poter ospitare tante deliziose bamboline morte. Ora non aveva tempo. I fulmini cominciarono a disegnare ramificazioni elettriche su un manto nero come il petrolio. Pochi lievi ticchettii colpirono il tettuccio del Pick-up, poi tutto fu invaso dall'acqua. Come se Dio avesse deciso di spremere tutte le nuvole insieme. La terra si trasformò presto in fango e Frankie si trovava all'interno della fossa e toglieva terra dalla parete. Bionde accatastate da una parte, parete dall'altra. Non c'era più tempo per scavare, così si appoggiò di spalle al mucchio di cadaveri e cominciò a spingere, tentando di fare abbastanza spazio per Jasmine. Quando gli sembrò abbastanza cominciò ad arrampicarsi. Faceva molta fatica con tutto quel fango. I piedi sembravano cercare un appiglio su un muro gelatinoso e le mani affondavano nella terra fradicia appigliandosi a poco e niente. Cadeva e risaliva, cadeva e risaliva. A un certo punto riuscì ad arrivare sull'orlo della fossa. Il corpo di Jasmine era lì vicino, così si aggrappò a lei. Le afferrò un braccio e tentò di tirarsi su. Tirò fuori la testa e diede uno sguardo al fiume in piena. Capì che doveva fare molto in fretta se voleva salvarsi il culo. I piedi mancarono l'appiglio due o tre volte. Frankie era allo stremo delle forze. Gli argini del fiume cedettero e raggiunsero la fossa. La terra si indebolì ulteriormente e cominciò a cedere sotto il corpo di Jasmine, che cadde addosso a Frankie, che atterrò di schiena. I due si trovarono faccia a faccia. I suoi occhi azzurri sembravano dirgli - Io e te, per sempre, figlio di puttana - Frankie non riuscì a sostenere quello sguardo, si voltò e incontrò gli altri. Quelli delle altre ragazze che aveva ucciso e stuprato. Scoppiò a ridere, prima di ingoiare la terra. Fango e acqua coprirono la fossa. I corpi si spostarono e la bocca di Frankie incontrò quella di Colette che gli passò i vermi, come due amanti che si passano la cicca durante un bacio. Poi il buio.
Qualche anno dopo, durante un'altra piena, alcuni dei corpi riaffiorarono e il fiume se li portò con sé. I cadaveri si incastrarono lungo la riva, fino al paese. La polizia seguì la scia di morte e arrivò alla fossa. Dentro trovarono il resto dei cadaveri, e Frankie. Si resero conto subito che era " Lo sventratore del fiume". Non era femmina, non era biondo, non aveva tette grosse e neanche un graffio. Il medico legale fece le sue analisi e, alla conferenza stampa, disse che molto probabilmente Frankie era caduto da solo nella fossa, durante un' esondazione e che non fosse riuscito a risalire. L'odio per quello che aveva fatto quel bastardo di un postino lo fece diventare lo zimbello del paese. Solo uno stupido costruirebbe una fossa vicino alla riva del fiume durante il periodo delle piogge, e solo uno stupido ne costruirebbe una talmente grande da non poter più riemergere una volta dentro.
I giornali gli cambiarono il nomignolo: " L'idiota del fiume". I familiari delle vittime si misero d'accordo col sindaco e con la polizia. Seppellirono le ragazze al cimitero, con fiori freschi e bellissime lapidi in marmo, con sopra le loro foto sorridenti. Frankie, invece, lo lasciarono in quella fossa fangosa in riva al fiume. Incrociarono due rami mezzi marciti formando una croce, la legarono con del fil di ferro e la piantarono insieme a un cartello con su scritto "Frankie l'idiota del fiume". Ogni 12 Ottobre, i familiari delle vittime, vanno al cimitero a salutarle e a pregare per loro e a cambiare i fiori rinsecchiti con altri appena colti. Poi il resto del paese si unisce ai familiari, e tutti si dirigono verso la tomba di Frankie e ci sputano sopra a turno.


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mercoledì 18 aprile 2012

Il prete 8

«Dalla tua espressione direi che hai capito chi sono» disse Don Bruno «Non ci è voluto molto per convincere il prete che ero solo una ragazzina innocente, rapita da due "cattivoni" come voi. Appena si è avvicinato per slegarmi sono uscito dalla ragazza e sono entrato dentro di lui. Perché devi sapere che i demoni più potenti possono trasferirsi da un ospite all'altro quando ne hanno voglia. Nel prete mi ci sono tuffato. Calza a pennello» e si guardò le mani come se stesse osservando dei guanti pregiati. Poi piegò le dita come artigli: «Una volta dentro il prete le ho preso la testa tra le mani e ho cominciato a girarla. Mi sono fatto un po' trasportare... Sentire quel rumore simile a un fascio di rami che si spezzano è una goduria.» Si leccò le labbra, pensando che quando le girò il collo la ragazzina era cosciente. Sentì la torsione, il dolore e la vita che la abbandonava, facendole vedere il mondo a trecentosessanta gradi.
«Perché il prete? Perché non uno tra me e Sonny? Siamo più grossi e cattivi» chiese Leo. 
«Be', il piano iniziale era quello. Ma, come ho detto prima, appena vi ho sentito parlare di andare a prendere il prete in paese, ero tutto un fremito. Per noi, entrare dentro un prete e gettare la sua anima tra le fiamme, è come per voi vincere alla lotteria, con annessa la più bella pupa presente sulla terra.»
- Il prete forse può sentirmi, la ragazzina ogni tanto tornava in sé. Se riesco a farlo uscire anche per qualche secondo... - pensò Leo.
«Hey, prete! Mi senti? Vieni fuori, avanti!» urlò.

Il prete era prigioniero nell'oscurità, immerso in una melma dove sguazzavano creature striscianti, che lo mordicchiavano e gli penetravano negli orifizi, diventando voci che scorrevano nelle vene e attaccavano la testa. Voci di morte e di un destino nel buco del culo dell'inferno. Don Bruno sentì un eco lontano, ma non riuscì a cogliere nient'altro. Tornò alla sua disperazione.

«Oh, Leo. Volevi far riemergere il prete quel tanto che bastava per farmi fuori, vero? Ci provano sempre tutti. Non preoccuparti, è al sicuro nelle mie tenebre, ben distante da Dio. Non tutti sono abbastanza forti e devoti per resistere, anzi, la maggior parte sono l'esatto contrario. Il mondo è diventato più spietato, freddo e sempre meno credente. Prendere le anime ormai è come ordinare un take-away al fast food» disse il demone, sorridendo compiaciuto.
Leo appoggiava in pieno l'ultimo pensiero del demone. Il mondo era diventato una vera merda. Ma ora doveva pensare a salvarsi la pellaccia. Gli servivano più informazioni, uno spiraglio di luce, l'angolo cieco del pugile.
«Cos' hai fatto a Sonny?»
«Sonny?» disse il demone leccandosi nuovamente le labbra, e ciò non presagiva niente di buono: «Non tutta la storia che ti ho raccontato è vera.»
«Non mi dire...»
«Eh, già. Vedi, è vero che stava andando veloce, ma il furgone, la strada, la teneva bene. Stavo discutendo con Sonny, provocandolo riguardo al vostro litigio, così da farlo accelerare ancora un po'. Durante una curva ho preso il volante e ho sterzato di colpo. Siamo usciti di strada e siamo stati sbalzati fuori e lui a preso un tronco in pieno, io no. Ed è vero anche che era rimasto paralizzato dal collo in giù e che era ferito gravemente. Mi sono avvicinato a lui e gli ho dato un bel bacio. Gli ho acchiappato la lingua con i denti e l'ho strappata, lo messa bene in bocca e ho cominciato a masticare. Buona, sapeva di maiale. Poi gli ho ficcato le dita in un orbita e ho strappato via un occhio. L'altro gliel' ho lasciato sano. L'ultima cosa che ha visto prima di morire è stato il suo occhio schiacciato come un chicco d'uva sotto la suola della scarpa. Poi ho preso un pezzo di vetro rotto dal parabrezza sfondato e mi sono tagliato la fronte e la gamba. Ed eccoci qui, io e te.»
Leo intanto aveva recuperato le forze e si rimise in piedi.
Il demonio sorrise, guardò la pistola e poi guardò Leo.
«La faccenda dell'essere armato è sistemata. Ora vedremo quanto fumano le tue palle» e gettò la pistola.
«Come dite voi, roba da uomini! Forza ragazzone, vediamo come usi le mani.»
«Qualcuno ti ha mai fatto il culo?» 
«Negli ultimi tre secoli? No.»
«La rissa con Sonny l'hai persa.»
«La rissa con Sonny l'ho persa volutamente. Era solo per sgranchirmi un po'. Per spezzare la noia.»
«Però sei ferito.» 
«Cosa? Ah, questo» si passò una mano sulla fronte e il taglio sparì, come una spugna su una macchia di sugo «Ho qualche vantaggio, che ci vuoi fare.»
Leo fece una smorfia di disappunto, si diede un paio di pacche sui vestiti per togliersi la polvere e fece un accenno di stretching. Gesti inutili che gli servivano a guadagnare tempo per pensare a come attaccarlo.
«Ok, figlio di puttana. Occhio, perché ce la metterò tutta.»
«Non chiedo altro.»
Leo si scagliò verso il demone, pensando a tutto ciò che lo aveva fatto incazzare nella vita e alla vita stessa. Alimentò i muscoli con adrenalina e rabbia e spense il cervello, lasciandogli solo le informazioni immagazzinate da anni di galera, risse, sparatorie e violenza. Sapeva di avere poche possibilità, ma voleva rendergliela molto dura. Voleva togliergli quel cazzo di ghigno dalla faccia.
                                    
                                                 * * *        

La Luna era una pennellata color perla su un manto color catrame, bucherellato dalla luce delle stelle. Mancava ancora qualche ora al mattino e gli animali notturni in cerca di prede si muovevano e brulicavano e avevano fame. Il rifugio invece era silenzioso, immerso nelle trame della notte. Una sagoma aprì la porta e uscì. Piantò due paletti e legò una cordicella da una parte all'altra tenendola ben tesa. La sagoma rientrò per qualche minuto. Tornò fuori e la luce della Luna lo illuminò per un secondo. Era il demone, completamente nudo. Aveva in mano i vestiti da prete appena lavati e li appese con cura sulla cordicella. Teneva una sigaretta di Leo tra le labbra, che sfumacchiava a brevi sbuffi. Appese il completo scuro e il collarino ad asciugare e tornò dentro. Mise del caffè a scaldare sul fornelletto e si diresse al lavabo per darsi una sistemata. Una volta pronto prese una tazza di metallo e ne versò un po'. Prese la scatola di biscotti al cocco e si mise a sedere. Stese e accavallò le gambe. Aveva messo i corpi di Ester e di Leo uno sopra l'altro e gli sembrarono un ottimo poggia piedi. Annegò un biscotto nella tazza e lo assaggiò.
«Mmmh... davvero buoni» disse.
Gli cadde l'occhio sul corpo di Leo. Era impregnato di sangue e colava sul pavimento creando una pozzanghera rossa e scura. Aveva parecchie ossa rotte, e del bianco sporco fuoriusciva qua e là da braccia e gambe. La sua espressione rimase combattiva anche dopo la morte.
«Non guardarmi così, io una possibilità te l'ho data» disse il demone.


Passò la notte e il mattino tornò frizzante e pieno di vita (almeno fuori dal rifugio) e l'orchestra del bosco cominciò a suonare. Il demone uscì e tirò giù i vestiti dalla cordicella. Erano asciutti. L'aria profumata e la brina del mattino gli riempirono le narici. Odiava quell'odore. Quasi gli venne un conato di vomito. Tutta quella bellezza e purezza era uno schifo. Rientrò, indossò i vestiti e inspirò a pieni polmoni. Quello era l'odore che preferiva. L'odore della carne che marcisce, il misto del fetore della decomposizione con le feci fuoriuscite dai loro corpi. Ma era ora di andare. Tornò fuori e si incamminò verso il bosco. L'orchestra mutò e divenne un fuggi fuggi generale. Nubi di uccelli sporcarono il cielo e animali piccoli e grandi cercarono rifugio. Chi sugli alberi, chi in qualche tana. Finché non rimase il silenzio. Il demone sospirò: «Ah, finalmente un po' di pace» e si diresse in direzione del paese, fischiettando.       
                                          FINE


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sabato 14 aprile 2012

Il prete 7

«Parla, prete» disse Leo.
«Posso sedermi almeno? Sono ferito!» disse Don Bruno.
«Puoi anche morire in questo istante per quanto mi riguarda. Parla, o ti sistemo anche l'altra gamba.»
«Abbiamo avuto un incidente. Sonny ce l'aveva con te per quello che era successo nel rifugio e ha cominciato ad andare a tavoletta. Durante una curva il furgone è uscito di strada. Le ruote non hanno tenuto con tutto quel fango. È andato dritto per dritto e ci siamo schiantati contro un albero, siamo stati sbalzati fuori e lui ha preso in pieno un tronco. Deve essersi rotto la spina dorsale, perché non riesce a muoversi. Perde un mucchio di sangue da un fianco. Dobbiamo fare presto!»
«Mi stai riempiendo di cazzate. Perché sei tornato? Potevi scappare e avvisare la polizia» disse Leo.
«Volevo farlo, ma le mie ferite sono troppo gravi, non ce l'avrei mai fatta ad arrivare fino al paese e anche se ci fossi riuscito, al mio ritorno con la polizia, Sonny sarebbe già morto. Ho preferito tornare e chiedere aiuto a te... Siamo tutti figli di Dio, Leo. Sonny non merita quella fine, la sua punizione la riceverà dopo la morte. Se c'è una minima possibilità di salvarlo, è mio dovere tentare. Starà al Signore giudicarlo.»
Leo fece un mezzo ghigno e scosse la testa: «Sarà pure come dici tu, prete, ma Dio si deve mettere in fila. In questo momento chi sta giudicando sono io. Entra, svelto» disse.
Don Bruno zoppicò per qualche metro poi cadde a terra e fece una smorfia di dolore.
«Che cazzo, ti vuoi muovere?» disse Leo.
«Così sto già andando alla velocità della luce. Una mano no, eh?»
«Non ci penso proprio. Muovi il culo.»
Il prete cadde ancora un paio di volte, prima di entrare. Trovò Leo già seduto. Raggiunse una sedia e si accomodò come meglio poteva.
Leo rimase in silenzio e fissò Don Bruno per qualche minuto. Come se avesse dei poteri per leggere la mente.
«Non andiamo da Sonny? Dovremmo...»
«Chiudi quella cazzo di bocca. Sto pensando.»
Leo aveva capito di trovarsi in una brutta situazione. Come doveva agire ora? Se il prete diceva la verità, Sonny poteva anche crepare. Si sarebbe preso la sua fetta e l'ultima cosa che voleva fare era chiamare qualcuno per aiutare quel pezzo di merda. Doveva fare fuori il prete e trovare un altro posto e rimanerci con la ragazza fino al giorno del rilascio. Non poteva andare da Sonny e lasciarla incustodita un'altra volta.  - La ragazza? Cazzo, devo controllare -
Si alzò e si diresse verso la porta. Accostò di nuovo l'orecchio. Nulla.
«Cosa stai facendo? Dobbiamo andare!» disse Don Bruno.
Leo si girò, affrettò un paio di passi verso il prete e gli mollò un manrovescio che gli fece girare la faccia. Uscirono i segni delle dita: colore e bruciore del fuoco.
«Basta» disse Leo. Don Bruno mise una mano sulla guancia arroventata e  annuì.
Leo tornò alla porta e l'aprì. Spalancò i suoi occhi grigi e lo shock e la rabbia si mescolarono, facendogli scoppiettare il cervello come un pop-corn. Vide il corpo della ragazza inerte, di un colore biancastro, tranne la zona del collo, dove si notava una torsione innaturale di colore violaceo. Ester era distesa per terra, pancia sopra, ma il suo sguardo lattiginoso fissava le assi del pavimento. 
«Che cazzo sta succedendo?» disse Leo. Da dietro, un braccio gli avvolse il collo e la mano con la pistola venne bloccata all'altezza del polso. Si sentì soffocare e lo scricchiolio delle ossa dell'avambraccio gli fece mollare la presa sull'arma, che cadde a terra. Tutto cominciò ad appannarsi. La bocca di Don Bruno si avvicinò all'orecchio di Leo: «Peccato che tu abbia già scoperto la ragazza, volevo divertirmi ancora un po'.»
«Bastardo di un prete» ringhiò Leo. Don Bruno gli appoggiò un piede sulla schiena e lo spinse dentro la stanza. Leo cadde faccia a terra, vicino alla ragazza, che sembrava fissarlo con i suoi occhi vitrei, dove la scintilla della vita si era disciolta, come neve bagnata dal piscio caldo.
«La faccenda dell'essere armato è sistemata. Ora vediamo quanto fumano le tue palle» disse Don Bruno. Lo spirito combattivo di Leo accolse la provocazione e lo fece rinsavire. Si mise seduto e si massaggiò il polso. Don Bruno si trovava appena fuori dalla stanza, con la pistola puntata.
«Si può sapere chi cazzo sei?» chiese Leo.
Don Bruno rise sguaiatamente.
«Quando ho sentito voi due bifolchi parlare del prete non stavo più nella pelle... di Ester» e rise di nuovo. Leo, dal canto suo, non rideva per niente. Gli bastò quella frase per capire di essere immerso nella merda con un blocco di cemento ai piedi. 

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venerdì 6 aprile 2012

Il prete 6

Leo si chiuse nel rifugio, si sedette e accese un'altra sigaretta. Stavolta andò giù come si deve. Sentì i polmoni riempirsi di fumo e sentì la nicotina circolargli in corpo. Una leggera vertigine scollegò,  ma solo per un secondo, la sua mente dal fracasso dei pensieri.
Una volta esorcizzata la ragazza avrebbe organizzato la data del rilascio e, con il riscatto, potersi finalmente godere una meritata vacanza. Con quei soldi sarebbe andato in Messico a suon di cannoni, bamba, tequila e troie. E non si sarebbe schiodato da quel posto fino alla fine dei suoi giorni (un periodo abbastanza breve, visto il progetto). Il suo ragionamento si spostò verso il prete. Sotto sotto non gli sembrava così malaccio. Era sveglio. Più sveglio di quello sfregiato col cervello impantanato nella merda di Sonny. Ma doveva farlo fuori. Due testimoni sono troppi e la ragazza doveva vivere per il riscatto. Una volta tornata in sé, ci avrebbe fatto due chiacchere alla sua maniera e l'avrebbe convinta sulla cosa giusta da fare. Tacere. Sono calcoli semplici per uno come lui. Doveva prendersi una delle due vite. Quella nuova in Messico o quella del prete. Prendere il miele o uccidere l'ape.
Sapeva che il prete non avrebbe detto niente agli sbirri, ma con l'eliminazione, Leo, ne avrebbe avuto la certezza.
Fissò la nebbiolina che si era creata nell'ambiente, i disegni del fumo appena espirato formavano spirali, cerchi e serpenti, che si aggrovigliavano per poi dissiparsi lentamente diventando un tutt'uno. Oltre quella foschia c'era la porta della stanza di Ester. Leo si accorse che, da quando era entrato nel rifugio, non aveva sentito  alcun rumore. Niente bestemmie, urla o conati. Niente. Si alzò e si avvicinò lentamente alla porta. Accostò l'orecchio, ma non avvertì nulla. 
«Hey, ragazzina. Tutto bene lì dentro?» disse. 
Non ci fu nessuna risposta. Leo avvicinò la mano alla maniglia e l'abbassò, ma non fece in tempo ad aprire la porta. Delle urla provenienti dall'esterno lo misero in allerta. Tirò fuori la pistola e si chinò. Si avvicinò con cautela all'ingresso.
«Leo! Leo!» si sentì urlare. «Conosce il mio nome e sa dove si trova il rifugio» pensò. Aprì la porta e vide il prete che emerse dal bosco, barcollante e ferito. Aveva un taglio profondo sulla fronte e il sangue colava sul volto, giù fino al colletto, ormai diventato rosso. L'abito scuro era sporco di fango e fogliame appiccicato e la gamba destra era ferita. Lo notò dall' effetto traslucido che aveva il tessuto impregnato di sangue.
Leo uscì e puntò la pistola verso il prete.
«Non ti muovere, resta dove sei o ti faccio fuori.»


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Buon finesettimana!

lunedì 2 aprile 2012

Il prete 5

La smorfia di Sonny si trasformò in un ghigno, poi scoppiò in una fragorosa risata.
«Hai visto, Leo? Che ti dicevo?»
«See, see, va bene. Che si fa ora, prete?» disse Leo.
«Devo esorcizzarla, ma per farlo ho bisogno di alcune cose che ho giù in paese. Devo entrare in chiesa e prenderle» rispose Don Bruno.
«Non se ne parla,» disse Sonny «ti devi arrangiare con quello che hai.»
«Sonny ha ragione, non possiamo portarti in paese, potrebbero vederci.» disse Leo.
«Come faccio ad arrangiarmi con quello che ho, se non ho niente? Non ce la farei mai. Mi serve il libro con le preghiere in latino, l'acqua santa, il crocifisso e la stola. Questi oggetti sono essenziali» disse Don Bruno «In fondo sono mancato per qualche ora, per lo più di notte. Può essere che nessuno si sia accorto della mia assenza, e comunque potrei inventarmi delle scuse. Ecco, potrei dire che un mio "collega" di un altro paese aveva bisogno di me alla sua parrocchia, che sono andato a trovarlo e che sono tornato per prendere delle cose.»
Leo ci pensò su, tamburellò le dita sul tavolo, poi tirò fuori un pacchetto di Marlboro dall'interno della giacca di pelle, ne tirò fuori una e l'accese. Fece una bella boccata, come se nella sigaretta ci fosse l'essenza di quello che doveva fare.
«Sonny verrà con te» disse.
«Vaffanculo, perché sempre io questi lavori di merda?» sbottò Sonny.
«Sta a sentire, hai già combinato un macello con la ragazzina, non posso lasciarti solo con lei un'altra volta.»
«Mi stai dicendo che non ti fidi?»
«No, non mi fido. Perché, qualche problema? Sto cominciando a rompermi i coglioni delle tue cazzate. Adesso vai col prete, e se seccede ancora qualcosa avremo un vero litigio» disse Leo, poi sfilò la pistola dalla cintola e la appoggiò sul tavolo.
«Tutto chiaro?»
«Tutto chiaro» e sibilò - porca puttana- tra i denti.
I tre uscirono dal rifugio. Aveva smesso di piovere in concomitanza con le prime luci dell'alba. L'aria era frizzante e pura, e un'orchestra di animali suonava una sinfonia che si può ascoltare solo in un bosco.
Sonny entrò nel furgone sbattendo con veemenza la portiera, poi girò la chiave e accese il motore.
Don Bruno entrò dall'altra parte e si mise al suo fianco. Leo si avvicinò al finestrino di Don Bruno, che lo abbassò.
«Prete, non so se ci sia dietro qualcosa, ma ti consiglio di pensare bene alle tue azioni e alle eventuali conseguenze. Devi  soltanto fare questo cazzo di esorcismo. Non mandare tutto a puttane.»
«Non lo farò» rispose Don Bruno.
Leo fece un'altra boccata che sembrò dargli fastidio. In realtà furono i suoi polmoni da fumatore ad essere infastiditi da quell'aria salubre. Si sentì come se qualcuno gli avesse acceso un fornelletto nel petto. Diede due colpi di tosse e buttò la sigaretta.
«Ti consiglio di non entrare nella stanza di Ester, almeno fino a quando non saremo tornati» disse Don Bruno.
«Sono armato e ho i coglioni che fumano» rispose Leo.
Sonny fece manovra e mentre si infilava nella strada sterrata, che a causa della pioggia era diventata pantano, guardò lo specchietto retrovisore e vide Leo, di spalle, che si incamminava verso il rifugio.
«Testa di cazzo» disse Sonny.
Poi si girò verso Don Bruno.
«Ti tengo d'occhio, prete.»
«Io e te dobbiamo fare due chiacchere» disse Don Bruno.

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